Consegnare i codici identificativi degli utenti agli operatori dell’advertising non è una pratica di intercettazione, non per le leggi statunitensi che tutelano la vita privata dei cittadini: Zynga e Facebook potrebbero aver violato la privacy degli utenti, ma la violazione non è da ricondursi alla fattispecie dell’intercettazione.
A stabilirlo è stata una corte d’appello dello stato della California, chiamata a valutare la validità di due class action intentate nel 2010 contro Facebook e il servizio di social gaming. Gli utenti statunitensi lamentavano le dinamiche di funzionamento dei referrer dei due servizi: nel momento in cui un utente avesse cliccato su un banner ospitato su Facebook o incluso nell’interfaccia di gioco dei titoli di Zynga, il suo identificativo univoco, insieme all’URL della pagina Facebook che conteneva il link, veniva trasmesso agli inserzionisti e agli operatori dell’advertising e della profilazione . Per i cittadini della Rete uniti nella class action si sarebbe trattato di intercettazione.
Ma per intercettare, ha spiegato ora il tribunale confermando un’ opinione emessa nel precedente grado di giudizio, è necessario che siano coinvolti dei contenuti , non semplicemente la serie di numeri che identifica univocamente un utente. A determinarlo è il testo dell’ Electronic Communications Privacy Act ( ECPA ): approvata nel 1986, quando la Rete era ben diversa rispetto ad ora, la legge statunitense impedisce la divulgazione a terzi dei contenuti delle comunicazioni, intesi come “informazioni riguardo gli argomenti, il senso e il significato della comunicazione”.
A differenza di quanto contestato a Google e ai suoi referrer, in questo caso nessun contenuto delle comunicazioni passerebbe di mano: Facebook e Zynga raccoglievano e consegnavano a terzi “solo informazioni di base legate all’identificazione e all’indirizzo di provenienza, non parole chiave destinate alla ricerca o simili comunicazioni” e non si potrebbe quindi rilevare alcuna intercettazione.
Ma le violazioni della privacy non si limitano a questa fattispecie: il tribunale ha ammesso che la class action può procedere per quanto attiene i capi d’accusa riguardanti truffa e violazione contrattuale. Il social network, che ha ora abbandonato la nota pratica della consegna degli ID, nel periodo di riferimento della class action si presentava ai propri utenti con una policy relativa alla privacy che potrebbe essere giudicata in attrito con i suoi comportamenti.
Gaia Bottà