In questo venerdì di fine agosto, senza troppi proclami, Facebook pubblica nuovi documenti che contribuiscono a far luce sul caso Cambridge Analytica, conformandosi così alla richiesta del procuratore generale del Distretto di Columbia. Si tratta di una serie di email scambiate dal personale interno al social network a partire dalla fine del settembre 2015, dunque con circa due mesi di anticipo rispetto all’esplosione della vicenda datata dicembre 2015 quando il Guardian pubblicò il suo ormai celebre report.
Cambridge Analytica: le email di Facebook
Si parla di data scraping ovvero della pratica attuata da alcuni sviluppatori al fine di rastrellare i dati condivisi dagli iscritti alla piattaforma, destinandoli poi a operazioni di marketing o, come emerso più tardi, a campagne mirate messe in campo tra le altre cose in vista delle Presidenziali USA del 2016.
È interessante notare come FB abbia scelto di intitolare il post che linka il documento “Document Holds the Potential for Confusion”, facendo riferimento al fatto che le informazioni contenute potrebbero generare confusione finendo con l’associare due eventi separati: da una parte i report in merito a possibili (ma non verificate) violazioni delle policy, dall’altra l’attività di Aleksandr Kogan, lo sviluppatore di GSR (Global Science Research) che ha creato l’app ritenuta poi responsabile di aver venduto le informazioni a Cambridge Analytica.
Le email pubblicate vedono in un primo momento (a fine settembre) alcuni membri dello staff interrogarsi sulla legittimità delle azioni svolte da alcune app, arrivando poi nei giorni della bomba sganciata dal Guardian a parlare di un “problema di pubbliche relazioni”, chiedendo ai vertici di assumere una posizione ufficiale nel minor tempo possibile, con tutta probabilità già intuendo la portata delle conseguenze.
A quasi quattro anni di distanza dagli eventi descritti nello scambio l’esatta dinamica di quanto accaduto non è ancora del tutto chiara. Ad essere certe sono invece le ripercussioni negative che l’esplosione del caso ha provocato a Facebook, anzitutto in termini di reputazione. Ciò nonostante, il business del gruppo non sembra averne risentito e con oltre 2,7 miliardi di utenti attivi su base mensile continua a mantenere la leadership nel mondo social.