Facebook negli ultimi mesi ha avviato trattative riservate con diversi editori e produttori di contenuti per ottenere che i contenuti siano stabilmente ospitati sul social network in blu.
La mossa sembra inserirsi nella strategia generale di Facebook di favorire la qualità dei contenuti ed incentivare le discussioni e gli status più interessanti: per scoraggiare i link di spam e di bufale, ed in questo modo puntando ad allungare il tempo passato dai suoi utenti sulla piattaforma .
Allo stesso tempo, il social network mira ad assumere le sembianze di una piattaforma su cui agiscono diversi servizi: se il suo Messenger è destinato ad accogliere la fantasia degli sviluppatori, l’accordo con gli editori è volto alla fruizione delle notizie direttamente sulla piattaforma, un volano incredibile per il tempo trascorso sul social network.
Certo, bisogna sentire le altre campane, i giornali e gli editori assolutamente gelosi dei propri lettori, dei propri contenuti e dei propri canali ufficiali online.
Da un lato il palcoscenico del social network è diventato sempre più fondamentale: non si può fare a meno dei suoi 1,4 miliardi di utenti, né tantomeno degli effetti delle condivisioni sulle loro bacheche. Facebook potrebbe poi fare da contraltare a Google News, quantomeno per scalfirne l’importanza in qualità di aggregatore di news. Appare però difficile rinunciare ai dati relativi ai propri utenti e al tempo trascorso sulle proprie pagine .
Per convincere gli editori, dunque, Facebook sembra aver promesso loro l’ accesso ai dati aggregati degli utenti che leggeranno i loro contenuti ed una percentuale degli introiti generati dall’advertising presente sulle pagine legate ad essi.
Nel complesso, i discorsi del social nerwork sembrano essere stati convincenti tanto che nei prossimi mesi sarebbe in programma l’esordio del servizio con alcuni partner pionieri.
Anche se mancano ancora commenti ufficiali e gli eventuali accordi sono protetti da un accordo di riservatezza, i primi soggetti protagonisti della nuova idea di Facebook, il New York Times, BuzzFeed e National Geographic, sembrano essere stati individuati.
Claudio Tamburrino