L’Europa non sembra ben tollerare le politiche sulla privacy di Facebook: oltre alla causa belga avviata contro la sua nuova policy, cui il social network risponde ora con un intervento a propria difesa, dovrà vedersela con una class action avviata in Austria.
Facebook ha dunque analizzato le accuse mossegli dal Belgio, ed in particolare legate all’accesso ai dati di utenti che visitano pagine web che impiegano sui strumenti per i commenti ed i mi piace , ed ha puntato il dito contro le inesattezze delle informazioni raccolte e analizzate dall’accusa: innanzitutto ha specificato che l’utilizzo dei suoi cookie è all’insegna della trasparenza , ha sottolineato di offrire agli utenti diverse possibilità per calibrare le informazioni condivise e poi ha ricordato di aver predisposto diversi sistemi di opt-out attraverso i quali un utente può interrompere tale tracciamento.
Nonostante questo un parziale mea culpa Facebook lo fa: il suo team di ricercatori – dice – ha individuato un bug che potrebbe aver inviato cookie di alcuni utenti non registrati a Facebook al momento della loro visita di una pagina che ospitava gli strumenti social.
Quello belga, tuttavia, non è l’unico contenzioso con cui dovrà confrontarsi Facebook: una class action è stata avviata in Austria dall’avvocato e attivista del gruppo Europe vs Facebook Max Schrems.
Peraltro, fin dal 2011 Facebook si sta scontrando con l’allora studente di legge Schrems, che sembra aver lanciato la sua personalissima versione di Davide contro Golia da quando, negli Stati Uniti per motivi di studio, sentì un impiegato di Facebook affermare durante un discorso che il social network “avrebbe potuto fare qualunque cosa in Europa perché non viene applicata una normativa in materia di protezione dei dati”.
Ora Schrems racconta con soddisfazione della prima udienza del caso austriaco: “Il tentativo di Facebook di sostenere che non sono un consumatore sembra essere fallito”, e la prima questione procedurale per l’avvio della class action si è risolta a favore dell’accusa.
L’azione collettiva ha già raccolto l’adesione di 25mila utenti del social network: per ognuno si chiedono 500 euro di danni.
Ad ascoltare le nuove accuse è la Corte regionale di Vienna, davanti alla quale Schrems sostiene quanto già portato avanti dalla causa belga e punta il dito anche contro il sostegno al programma di sorveglianza dell’intelligence statunitense , il contrasto tra policy per la privacy adottate e normativa europea , l’illegalità dell’introduzione del “Graph Search”, l’ assenza di notifiche circa l’accesso a diversi tipi di informazioni degli utenti e il passaggio non autorizzato dei dati degli utenti alle app esterne .
Anche in patria, sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico, Facebook rischia tuttavia di dover metter nuovamente mano alle sue regole o alle sue funzioni: un uomo di Chicago ha denunciato il social network per il riconoscimento facciale, quella tecnologia incorporata nella funzione di suggerimento dei tag da aggiungere ad una determinata foto, già bloccata in Europa . Secondo la denuncia che anche in questo caso cerca lo status di class action, ad essere violato sarebbe il Biometric Information Privacy Act (BIPA) dello Stato dell’Illinois.
Claudio Tamburrino