Si intitolava Antisocial Networks un post pubblicato sul blog ufficiale di una non troppo nota azienda software di Baltimora, particolarmente astiosa nei confronti delle attuali reti sociali: colpevoli di aver sfruttato in questi anni un’idea avuta sulle sue scrivanie. WhoGlue ha recentemente intentato causa nientemeno che al gigante Facebook, sostenendo con vigore che il sito in blu abbia violato un suo brevetto ottenuto presso lo US Patent and Trademark Office nel luglio 2007.
“Recentemente – aveva scritto sul sito ufficiale dell’azienda statunitense il CEO Jason Hardebeck – i siti legati al social networking hanno iniziato a realizzare che non è soltanto una questione di facilitare la condivisione di informazioni, ma soprattutto di rendere semplice il controllo di quelle informazioni da parte degli utenti”. Sarebbe questa, in sostanza, l’accusa principale mossa al sito di Mark Zuckerberg, che avrebbe modellato le proprie regole sulla privacy sulla base di una visione avuta a Baltimora nel lontano 2001 .
“Abbiamo capito tutto questo molto tempo fa – aveva continuato il CEO WhoGlue, azienda posseduta al 33 per cento da Siemens – e, infatti, nel 2001 avevamo depositato un brevetto chiamato algoritmi e metodi per la gestione distribuita delle informazioni personali di relazione “. Una definizione certo piuttosto vaga, che porterebbe più o meno qualsiasi sito dal sapore social a violare il suddetto brevetto.
L’azienda di Baltimora avrebbe quindi chiesto ad una corte federale del Delaware di esprimersi sul caso, riconoscendo evidenti danni derivanti dalla violazione del brevetto da parte di Facebook che dovrebbe in seguito fermare ogni attività che coinvolga un progetto non suo. “L’idea che ogni utente deve avere la possibilità di condividere cosa con chi – aveva concluso WhoGlue – sembra così ovvia adesso, ma i grandi social network l’hanno immaginata e realizzata soltanto di recente”. La domanda nasce spontanea: perché a Baltimora non l’hanno messa in piedi prima?
Mauro Vecchio