Il gruppo statunitense che opera in difesa della privacy Electronic Privacy Information Center ( EPIC ) ha denunciato alla statunitense Federal Trade Commission (FTC) lo studio condotto da Facebook all’inizio del 2012 con lo scopo di verificare la possibile influenza emotiva degli status sui social network.
Lo studio , effettuato dai ricercatori di Facebook Adam Kramera, Jamie Guillory e Jeffrey Hancock ha di fatto manipolato i contenuti visualizzati sulla cronologia dei profili coinvolti, con lo scopo di verificare se gli stati emotivi si possano trasmettere e si possano influenzare le persone attraverso un social network, in una sorta di “contagio emotivo”.
Il problema per EPIC è che i circa 700mila utenti coinvolti non sono stati affatto informati della manipolazione e che nella licenza d’uso di Facebook è stata introdotta solo in un momento successivo la possibilità di utilizzare i dati dei propri utenti per fini di ricerca interna .
Spetterà ora ad FTC decidere se procedere o meno contro Facebook per la mancanza del consenso informato non solo all’esperimento, ma anche al cambio nelle condizioni d’uso effettuato nel 2012 per ricomprendere la fattispecie della ricerca: la stessa commissione, peraltro, prima di quella data aveva avuto modo di redarguire il social network, raccomandando di procedere sempre informando gli utenti di qualsiasi cambiamento nella propria licenza.
Marc Rotenberg, direttore del gruppo in difesa della privacy, ha spiegato che l’obiettivo è quello di non vedere più “manipolazioni segrete degli utenti della Rete” e che le “aziende non possano più giocare con la mente della gente”.
L’irruenza con cui Facebook ha condotto la ricerca, d’altronde, sembra poter segnare il futuro prossimo degli esperimenti condotti sui dati raccolti online : il social network in blu non è certamente l’unico sito che impiega tali informazioni per diversi scopi, e non è un mistero che anche il mondo accademico guardi con crescente curiosità a questi dati. La stessa azienda di Mark Zuckerberg porterebbe avanti centinaia di diverse ricerche sui propri utenti : a parlare di una pratica costante, quasi senza alcuna supervisione o controllo, fin dal 2007 è un ex membro del team Data Science di Facebook.
Tuttavia, l’attenzione che il social network ha attirato su di sé con questo esperimento potrebbe determinare la nascita – dal dibattito innescatosi – di nuovi e fondamentali paletti a questa possibile evoluzione delle scienze sociali.
A placare la polemica, d’altra parte, non sembrano bastare neanche più le mezze e tardive scuse del COO di Facebook Sheryl Sandberg che ha parlato di una carenza dal lato della comunicazione . Il numero due del social network ha cercato di giustificare la situazione parlando di “una normale ricerca condotta per verificare i differenti prodotti offerti ai propri clienti” e non certo di uno studio fatto per manipolare le emozioni dei propri utenti.
Inutili sembrano anche le giustificazioni (senza scuse) di Monika Bickert, vertice della gestione delle politiche globali di Facebook, che ha parlato di necessità di trasparenza per andare avanti sulla strada dell’innovazione .
D’altronde, l’onda di critiche contro lo studio si è ormai levata, e per gli stessi motivi messi sul piatto da EPIC il social network rischia di doversela vedere anche con i tribunali in Gran Bretagna ed in Irlanda, dove l’ Information Commissioner’s Office (ICO) e l’ufficio irlandese per la protezione dei dati hanno già fatto intendere di voler approfondire la faccenda, per il momento approfondendo il dialogo con l’azienda di Zuckerberg.
Nel frattempo, poi, l’influente rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), che ha ospitato per prima i risultati della ricerca condotta dal social network, ha pubblicato una nota con cui – di fatto – prende le distanze e critica i metodi adottati dai ricercatori di Facebook: con un intervento dal titolo “Editoriale per esprimere preoccupazione” il giornale spiega che pur non essendo obbligato a sottostare ad alcuni principi basilari che valgono per gli enti pubblici e per le università, Facebook avrebbe comunque dovuto considerare alcune questioni etiche, seguire i dettami del consenso informato ed offrire ai propri utenti la possibilità di uscire dall’esperimento.
Claudio Tamburrino