Un uomo ha ucciso la figlia di 11 mesi in Tailandia e poi si è tolto la vita: una notizia che per una questione deontologica non dovrebbe trovare posto su Punto Informatico, ma neanche su Facebook. E invece, proprio sul social network il video streaming nel quale il padre compiva l’omicidio è stato disponibile per circa 24 ore .
La scena, oggetto di due differenti video girati sul tetto di un hotel deserto di Phuket da Wuttisan Wongtalay, ventenne padre della bambina di 11 mesi, è andata in diretta streaming su Facebook nella serata di martedì ed è rimasta accessibile per circa 24 ore prima della rimozione. Sembra che sia dovuto intervenire il Ministro dell’Economia Digitale della Tailandia per ottenerne la cancellazione.
Il primo dei due video è stato visto 112mila volte, mentre il secondo 258mila : entrambi sono stati caricati anche su YouTube da altri utenti, da cui tuttavia è stato rimosso dopo circa 15 minuti dalla ricezione delle prime segnalazioni.
Ad appena due settimane dai fatti di Cleveland e dai video di un altro omicida andati in diretta e poi rimasti per diverse ore sul social network, dunque, Facebook si trova al centro delle polemiche per aver ospitato suo malgrado un altro video nel quale viene drammaticamente ripresa la fine violenta di una vita: già in quell’occasione il social network si era ritrovato ad avere a che fare con critiche feroci circa la modalità e la tempistica con cui interviene sui contenuti di odio condivisi sulla piattaforma .
Non è infatti sempre chiaro quale sia il metro di giudizio adottato dal social network per stabilire quali contenuti possano restare sul sito e quali invece non debbano trovarvi spazio. E anche nel caso in cui la necessità di censura sia di tutta evidenza, le tempistiche di risposta da parte di Facebook non sono sempre affidabili.
Nei fatti statunitensi a far divampare le critiche erano bastate le tre ore durante le quali il video dell’omicidio era rimasto disponibile, in quest’ultimo caso il social network dovrà vedersela con accuse ben più gravi: addirittura 24 ore di ritardo per un intervento risolutivo. Ancor più alla luce del fatto che in seguito ai fatti di Cleveland Zuckerberg in persona aveva annunciato di voler rivedere i meccanismi con cui al momento si interviene sui contenuti violenti condivisi sulla piattaforma, sostenendo che non vi fosse posto per queste cose contrarie alla privacy di Facebook e al suo senso di comunità .
Anche in questa occasione un portavoce di Facebook Tailandia ribadisce il pensiero del suo CEO, riferendo “che non c’è assolutamente posto per questo tipo di contenuti su Facebook”, oltre naturalmente a professare la propria vicinanza alla famiglia delle vittime.
Si tratta tuttavia solo di parole, che ben poco possono fare davanti al preoccupante proliferare di video violenti (anche se ancora marginali rispetto al numero totale di contenuti ospitati sulla piattaforma) che anche in Europea rappresenta un fenomeno tristemente noto: lo scorso giovedì una corte svedese ha condannato per stupro tre uomini che hanno trasmesso live su Facebook il loro crimine.
Claudio Tamburrino