Un video che mostrava una scena di estrema violenza: la decapitazione di una donna, accusata di tradimento. Un video presentato come tale dall’utente che l’ha caricato, capace di scuotere anche il pubblico meno impressionabile. È stato postato su Facebook, che in un primo momento sembrava avallare indistintamente questo tipo di immagini come strumento di denuncia e di testimonianza, e che nel giro di poche ore è ritornato sui propri passi, approvando nuove regole per la pubblicazione dei contenuti.
La BBC aveva individuato per prima il video oggetto dello scandalo. Nonostante le policy di Facebook promettessero la rimozione dei “contenuti grafici” in grado di scioccare profondamente le platee di amici, la clip rimaneva online. Le richieste di rimozione invocate dagli utenti si sono scontrate con la fermezza di Facebook, novella paladina della libertà di espressione: “Facebook è da tempo uno spazio a cui le persone si rivolgono per condividere le loro esperienze, in particolare quando queste sono connesse a situazioni controverse, come abusi dei diritti umani, atti di terrorismo e altri atti di violenza”. “Le persone stanno condividendo questo video su Facebook per condannarlo – per questo il social network l’avrebbe mantenuto online, visibile a tutti, privato dell’advertising di terze parti – Se il video venisse celebrato, o se le azioni che contiene venissero incoraggiate, il nostro approccio sarebbe differente”. Quello che Facebook non sembra aver rilevato in un primo momento è che la clip era condivisa con un titolo provocatorio: “Sfida: qualcuno riesce a guardare questo video?”.
Il video è ora stato rimosso: “abbiamo riesaminato delle recenti segnalazioni di contenuti espliciti – avverte ora Facebook – e abbiamo concluso che quel contenuto esaltasse la violenza in maniera impropria e irresponsabile”. I nuovi criteri con cui il social network intende far valere il diritto degli utenti a manifestare il loro pensiero e ad informare la società civile sono stati specificati con più accuratezza: “valuteremo se la persona che carica il contenuto lo sta facendo con senso di responsabilità, ad esempio accompagnando il video o l’immagine con un avvertimento e condividendolo con un pubblico di età adeguata”.
Spetterà al social network, ora, esaminare con uno “sguardo olistico” le segnalazioni, analizzando caso per caso come gli utenti declinano il loro senso morale e la loro comunicativa rispetto alle intenzioni che muovono la pubblicazione di contenuti sulle pagine dei loro profili.
Gaia Bottà