Un singolare quiz, apparso di recente tra le pagine online del The New York Times : qual è il testo più lungo tra la Costituzione statunitense e le policy in materia di privacy di Facebook? La risposta nei numeri: 4.543 parole per lo storico documento a stelle e strisce, 5.830 parole per l’intero corpus che dovrebbe tutelare la riservatezza dei più di 400 milioni di iscritti al social network in blu.
Un condizionale quasi d’obbligo, dal momento che sono ancora bollenti le fiamme del dissenso che hanno avvolto negli ultimi tempi il sito di Mark Zuckerberg. A partire dalla fine dello scorso marzo, quando il deputy counsel Michael Richter aveva annunciato una serie di modifiche significative da apportare allo Statement of Rights and Responsibilities di Facebook.
In sostanza, i dati personali degli iscritti al sito in blu verranno automaticamente indirizzati verso applicazioni terze pre-approvate . A meno che gli stessi utenti non vadano a disattivare la particolare opzione in maniera manuale. E queste nuove opzioni verranno installate di default su ogni profilo attivo di Facebook.
Dunque, rimane possibile per gli utenti disattivare l’opzione in maniera manuale. Ma c’è chi – dopo aver letto l’articolo del New York Times – ha usato una singolare parola per descrivere l’insieme delle privacy policy di Facebook: labirinto . Sarebbero infatti più di 50 i pulsanti da cliccare per fare in modo che quasi tutti i propri dati non siano di dominio social.
50 pulsanti e 170 opzioni, con un centro assistenza che tra le sue FAQ ha racchiuso circa 45mila parole . Per i responsabili di Facebook numeri più che positivi, a dimostrazione di un impegno sempre rigido per rendere comprensibile ed esaustiva la tutela della privacy dei vari utenti.
Ma il nuovo giro di privacy del sito in blu non era affatto piaciuto al Senato a stelle e strisce, che in una lettera aperta al CEO Mark Zuckerberg aveva innanzitutto fatto pressioni affinché fosse più chiara la possibilità per gli utenti di effettuare l’opt-out. E non è stato gradito nemmeno dai garanti europei della privacy, che hanno proprio recentemente bacchettato Facebook sulla trasparenza.
Facebook sembra voler correre ai ripari, alla luce di un post pubblicato sul suo blog ufficiale . Presentate così nuove misure di sicurezza, per permettere agli utenti di impostare vari dispositivi d’accesso personali da cui viene effettuato più frequentemente il login . Una soluzione che dovrebbe mettere al sicuro milioni di iscritti da pericolose intrusioni a mezzo informatico.
“Ad esempio – si legge nel post – Potrete salvare il vostro computer di casa, quello della vostra scuola, dell’ufficio o il vostro dispositivo mobile . Una volta fatto ciò, chiunque provi ad accedere al vostro account da un dispositivo non presente sulla lista verrà interrogato affinché identifichi il dispositivo in uso”.
Ma che il caos si sia ormai impadronito della squadra di Facebook è cosa abbastanza evidente. Fonti interne parlano di una riunione straordinaria per i dipendenti del social network in blu, proprio mentre Electronic Frontier Foundation (EFF) ha sferrato un nuovo attacco alla luce delle pubbliche dichiarazioni di Elliot Schrage, vicepresidente alle public policy del sito.
Sottoposto alla domanda di un lettore di NYT , “perché non è più possibile controllare le proprie informazioni personali?”, Schrage ha sottolineato come l’iscrizione a Facebook necessiti di un certo livello di consapevolezza. E come chiunque si trovi male con il concetto di condivisione online possa tranquillamente smetterla .
Ma EFF si aspettava tutt’altra risposta, sulla base di uno dei principi stabiliti dalla stessa piattaforma social. “Le persone dovrebbero avere la libertà di decidere con chi condividere i propri dati e le proprie informazioni, oltre che di controllare le varie impostazioni della privacy a protezione delle proprie scelte”.
E nel caos delle critiche è finito ancora una volta lo stesso oscuro passato del CEO Mark Zuckerberg, quando era ancora uno studente diciannovenne e meditava su come spingere al meglio la sua neonata creatura social, The Facebook . Stando a quanto riportato, il giovane Mark avrebbe confidato ad un amico di essere entrato in possesso di circa 4mila tra indirizzi email e fotografie, e persino numeri di previdenza sociale .
“Cosa? E come hai fatto?”, aveva prontamente chiesto l’amico. “Me li hanno appena spediti loro”, rispondeva Zuckerberg riferendosi ai primissimi utenti della sua piattaforma. “Non so perché – continuava l’attuale CEO – ma si fidano di me. Stupidi”. Facebook ha reagito piccata alle rivelazioni, sottolineando come non ci sia alcuna voglia di commentare articoli scritti in base a fonti del tutto anonime.
In Italia, nel frattempo, l’attuale maggioranza di governo ha proposto un codice di autodisciplina a tutela della dignità della persona su Internet , che dovrebbe selezionare in partenza una serie di contenuti non conformi al codice etico del web. Nella bozza di presentazione, una sorta di bollino di garanzia per spazi online che potrebbe “costituire una garanzia di rispetto dei principi fondamentali della libertà d’espressione e d’informazione, contro l’uso malevolo delle informazioni e dei contenuti diffusi”.
Si chiamerà Internet mi fido questo particolare sigillo di garanzia, che tutti i siti aderenti all’iniziativa dovranno apporre ben in vista sulla propria home page. Un modo per rassicurare gli utenti che i propri contenuti non incitino “all’odio, alla violenza, alla discriminazione, ad atti di terrorismo, o che offendano la dignità della persona, o costituiscano una minaccia per l’ordine pubblico”.
Mauro Vecchio