Un chatbot al servizio del leader istraeliano Benjamin Netanyahu è stato bannato per 24 ore da Facebook a seguito della violazione delle norme sull’hate speech. Con le elezioni alle porte, la tensione si sta alzando e con essa i toni del dibattito politico in medio oriente: laddove i toni sono andati oltre un certo limite, però, Facebook non ha esitato a chiudere i rubinetti.
Il blocco è durato 24 ore: per il modus operandi di Facebook si tratta di una sorta di cartellino giallo che, oltre a limitare nell’immediato l’esasperazione dei toni nei confronti dei follower del profilo bloccato (annullando il potenziale comunicativo del canale in un momento cruciale della campagna elettorale), rappresenta un avvertimento per il futuro. Se la violazione dovesse essere reiterata, il blocco potrebbe durare oltre o si potrebbe arrivare al ban definitivo.
In Italia ha alzato un piccolo polverone il ban di Forza Nuova e Casapound da Facebook, con tanto di ampia discussione sulla bontà della libertà di espressione e del diritto privatizzato e sovranazionale identificato in Mark Zuckerberg. Questa discussione, spesso molto limitata ai limiti dei confini nazionali, andrebbe però affrontata nell’ottica più ampia di quel che accade in tutto il mondo, ove Facebook ha a che fare con fenomeni ben più ampi e radicati del sovranismo nostrano. In buona parte gli account italiani erano stati ammoniti in passato con misure simili a quelle ricadute oggi su Netanyahu, poi è arrivato il ban (esteso ad un intero movimento) a chiusura delle reiterazioni delle violazioni.
Le frasi usate da Netanyahu erano particolarmente pesanti contro i partiti rivali nei quali sono presenti rappresentanze arabe, accusate di voler distruggere Israele. Benzina sul fuoco che avrebbe rischiato di divampare ed il social network avrebbe rischiato di rimanerci invischiato.