Facebook replica al NYT: partner e messaggi privati

Facebook replica al NYT: partner e messaggi privati

Facebook prova a fare chiarezza su partner, privacy e messaggi privati, ma permangono dubbi su trasparenza e modalità di accesso alle informazioni.
Facebook replica al NYT: partner e messaggi privati
Facebook prova a fare chiarezza su partner, privacy e messaggi privati, ma permangono dubbi su trasparenza e modalità di accesso alle informazioni.

Quella di ieri è stata un’altra giornata nera per Facebook, aperta con l’ennesima accusa riguardante una mancata o quantomeno insufficiente tutela della privacy degli utenti e chiusa con un crollo verticale del valore in borsa (-7,25% sull’indice NASDAQ). Un articolo pubblicato dal New York Times ha portato alla luce la condivisione con oltre 150 aziende delle informazioni riguardanti gli iscritti al social network. Interessati in alcuni casi anche i messaggi privati. Oggi la replica ufficiale del gruppo di Zuckerberg, che reca la firma di Ime Archibong (VP of Product Partnerships).

Nei giorni scorsi siamo stati accusati di rendere accessibili i messaggi privati degli utenti ai partner senza metterli a conoscenza. Non è vero e vogliamo fornire maggiori informazioni in merito alle nostre partnerhip riguardanti i messaggi.

I messaggi privati di Facebook e le terze parti

Il gruppo sostiene che l’accesso delle terze parti ai messaggi privati scambiati attraverso Facebook è avvenuto solo ed esclusivamente nel caso di autenticazione a servizi esterni mediante l’account del social network. In altre parole, ricorrendo all’utilizzo di Facebook Login. È quell’opzione che compare quando ci si collega a un servizio, sollevando dall’obbligo di registrare un nuovo profilo e di inserire username e password. Inoltre, stando a quanto affermato da Archibong, nessun partner può più farlo da ormai circa tre anni (anche se il report del NYT parla di tempi ben più recenti).

Le persone hanno potuto inviare messaggi ai loro amici a proposito di cosa stavano ascoltando su Spotify o guardando su Netflix, condividere cartelle su Dropbox o ricevere documenti per i trasferimenti di denaro dall’applicazione della Royal Bank of Canada. Queste esperienze sono state discusse pubblicamente. Sono state specificate chiaramente agli utenti e rese disponibili solo effettuando il login a questi servizi con Facebook. Ad ogni modo, si tratta di esperimenti interrotti ormai quasi tre anni fa.

Così Facebook spiega la concessione dei permessi di lettura, scrittura ed eliminazione dei messaggi privati ad aziende esterne al social network. Il post fornisce un paio di esempi: di seguito uno screenshot che mostra l’integrazione della feature in Spotify.

Il sistema di messaggistica integrato in Spotify e basato sull'infrastruttura di Facebook

Qui sotto un altro esempio, questa volta riguardante Netflix, dove gli utenti hanno potuto inviare suggerimenti su cosa guardare agli amici di Facebook.

Il sistema di messaggistica integrato in Netflix e basato sull'infrastruttura di Facebook

Ciò su cui il post di Archibong non fa luce sono le modalità attraverso le quali Facebook ha messo i suoi iscritti a conoscenza della dinamica: un dettaglio non di poco conto, da tenere in considerazione al fine di esprimere un giudizio sulla trasparenza nella comunicazione tra il social network e i suoi iscritti.

I partner del social

Poche ore prima un altro intervento dell’azienda, sempre in risposta all’articolo del NYT, questa volta firmato da Konstantinos Papamiltiadis (Director of Developer Platforms and Programs). Il focus è in questo caso sulle partnership con le realtà di terze parti alle quali è stato consentito l’accesso alle informazioni al fine di semplificare l’utilizzo di feature del social network da applicazioni, dispositivi o siti esterni.

Per essere chiari: nessuna di queste partnership o funzionalità ha fornito alle aziende l’accesso alle informazioni senza il permesso degli utenti né ha violato il nostro accordo del 2012 con al FTC.

L’accordo siglato con la Federal Trade Commission a cui si fa riferimento è quello che ha imposto a Facebook di richiedere e ottenere sempre il consenso esplicito da parte degli utenti per qualsiasi forma di trattamento dei dati.

Papamiltiadis ammette che c’è ancora del lavoro da svolgere per quanto riguarda le API attraverso le quali gli sviluppatori possono accedere alle informazioni, citando nel post alcuni dei gruppi che nel tempo hanno fatto leva su questa possibilità: ci sono Apple, Amazon, Blackberry, Yahoo, Microsoft (per il motore di ricerca Bing), Pandora e lo stesso New York Times autore del report di ieri. Quasi tutte le partnership sono state interrotte, tranne quelle riguardanti Apple e Amazon. Di cruciale importanza il passaggio in cui alla domanda “I partner hanno avuto accesso ai messaggi?” viene fornita la seguente risposta.

Sì, ma le persone hanno prima dovuto effettuare il login a Facebook per utilizzare le funzionalità di messaggistica dei partner.

Non c’è privacy senza trasparenza

Il problema riguarda la trasparenza ancor prima che la tutela della privacy. Non tutti, scambiando suggerimenti in merito ai film da vedere su Netflix o alle canzoni da ascoltare su Spotify con gli amici di Facebook, sono stati messi adeguatamente a conoscenza che quei messaggi avrebbero potuto essere consultati e utilizzati da Netflix e Spotify. Come sottolineato nel corso dell’articolo, il social network con i suoi post ha fatto luce sulle dinamiche alla base delle feature in discussione, ma non ha fornito alcun dettaglio sulle modalità attraverso le quali ha informato i diretti interessati.

Fonte: Facebook
Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
20 dic 2018
Link copiato negli appunti