Avevano ammesso lo sbaglio i responsabili di Facebook, sostenendo di aver imparato molto dall’esperienza dei tanto contestati beacon . Ora sembra giunto il momento di pagare per questo sbaglio: un tribunale federale della California ha fornito il suo assenso preliminare per chiudere la class action intrapresa da alcuni cittadini del Texas contro il social network. Facebook smantellerà definitivamente il sistema di pubblicità fondato sui beacon, che condivide informazioni riguardo alle preferenze degli stessi utenti, comunicandole al di fuori del sito e rendendole note a liste di amici e ad applicazioni terze.
Si avviano verso la vittoria, dunque, i venti netizen statunitensi guidati da Sean Lane, l’uomo che lo scorso agosto aveva dato origine alla class action contro il sito di Mark Zuckerberg, dopo che un suo acquisto sul sito Overstock.com era stato condiviso in automatico attraverso il profilo personale. Pare che la moglie di Lane fosse così venuta a sapere di un anello di diamanti tutto per lei, rovinando completamente l’effetto sorpresa. La class action contro Facebook aveva puntato il dito verso il sistema di beacon, le cui opzioni erano state definite fuorvianti ed ingannevoli .
E così il giudice di San Jose Richard Seeborg ha dato il via libera ad una risoluzione condivisa dallo stesso sito in blu, che dovrà pagare una cifra che si aggira intorno ai 9,5 milioni di dollari . La maggior parte di questa somma verrà devoluta per mettere in piedi una fondazione indipendente che “investa in progetti ed iniziative volte a promuovere la privacy e la sicurezza online”. La fetta restante verrà invece condivisa dai netizen texani con i propri avvocati, con una cifra approssimativa tra 1.000 e 15.000 dollari ciascuno.
Facebook, ovviamente, dovrà eliminare tutto ciò che afferisca ai beacon website , mai del tutto messi fuori gioco nonostante le scuse pubbliche. Se la decisione del giudice troverà conferma, il social network sarà sollevato da ogni responsabilità all’interno di azioni legali simili, come quella già in corso – che vede tra gli imputati anche Blockbuster – per la presunta violazione del Videotape Privacy Protection Act , dopo che il sito ha messo in condivisione non autorizzata una serie di informazioni relative ai noleggi degli utenti.
Mauro Vecchio