L’iniziativa battezzata Stop Hate for Profit messa in campo la scorsa settimana per spingere Facebook (e più in generale i giganti social) a intervenire con maggiore decisione su hate speech, razzismo e altri contenuti problematici espanderà il proprio raggio d’azione e diventerà globale. Tra coloro che hanno aderito scegliendo di interrompere gli investimenti in advertising ci sono realtà del calibro di Coca-Cola, Unilever, Verizon, Starbucks e The North Face.
Facebook e il boicottaggio delle pubblicità
A renderlo noto Jim Steyer, numero uno di Common Sense Media, organizzatore del movimento che ha già raccolto consensi da oltre 160 società finora però confinate per la maggior parte entro gli Stati Uniti. Tra gli obiettivi c’è anche quello di spingere le autorità europee ad accelerare i tempi per imporre alle piattaforme online regole e paletti più severi in merito al contrasto della disinformazione, tema su cui Bruxelles si è pronunciata proprio a inizio giugno.
Nel fine settimana Facebook ha dichiarato che etichetterà i post dei politici se ritenuti falsi, discriminatori o contenenti informazioni fuorvianti, pur non eliminandoli nel nome dell’interesse pubblico. Una decisione che per tempistica e finalità sembra essere stata presa proprio per scongiurare un impatto economico importante dalla campagna di boicottaggio delle pubblicità.
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Il business vale per il gruppo di Menlo Park circa 70 miliardi di dollari ogni anno. Solo un quarto della cifra proviene però da grandi investitori, mentre il resto da piccoli inserzionisti che difficilmente aderiranno in massa a Stop Hate for Profit. Il social network potrebbe accusare più il colpo in termini di reputazione e immagine, come testimoniato dalla brusca contrazione del titolo in borsa, caduto dell’8,6% nella giornata di venerdì mandando così in fumo in poche ore miliardi di dollari di capitalizzazione.