Mark Zuckerberg deve ancora affrontare la questione della qualità dei contenuti condivisi su Facebook e, dopo avere nelle settimane scorse cercato di minimizzare il problema, torna ora a parlarne, affermando di essere ancora al lavoro sulla questione e di star approntando ulteriori modifiche ai sistemi del social network.
In principio Facebook è stata messa di fronte alle accuse che l’hanno caricata di responsabilità rispetto alla campagna elettorale statunitense che ha portato alla vittoria inattesa del candidato Donald Trump. Poi sono emerse le indiscrezioni, diffuse a quanto pare da un gruppo di suoi dipendenti , secondo le quali l’ultimo aggiornamento previsto dal social network per affrontare la questione sia stato bocciato con motivazioni che non hanno nulla a che vedere con eventuali problemi tecnici ma piuttosto per considerazioni di natura politica (ed in particolare la paura di osteggiare i conservatori). Il problema della virulenza delle notizie false e propagandistiche online ha continuato a tenere banco e Facebook, volente o nolente, è coinvolta anche finanziariamente, data la capacità di queste news di attirare click e quindi visualizzazioni e conseguenti introiti pubblicitari.
I media hanno infatti continuato a raccontare come la diffusione di bufale e notizie false abbia finito per influenzare (molto probabilmente) elezioni politiche anche in altri paesi , tra cui Indonesia e Filippine: qui alcuni leader politici sono stati costretti a rispondere alle calunnie che, circolando online, stavano compromettendo la loro immagine, corredate da fotomontaggi neanche troppo raffinati e tante illazioni.
Questo ambiente particolarmente favorevole per la propaganda, il trolling e le notizie false ha d’altra parte creato un sistema di comunicazione alternativo ed alternative professionalità : se la notizia che
un autore statunitense di notizie false ha dichiarato di guadagnare migliaia di dollari al mese solo con la pubblicità (e di aver così sicuramente contribuito anche all’elezione di Trump grazie alla condivisione di bufale come “Pope Francis Shocks World, Endorses Donald Trump for President, Releases Statement”) fa immediatamente pensare al dilemma dei due guardiani (uno che mente sempre, mentre l’altro dice solamente la verità), in Italia fa discutere la presunta indagine della procura su troll prezzolati (individuati tramite i relativi profili ghost) per diffondere o influenzare il commento di notizie a favore di una determinata parte politica.
D’altra parte anche l’Oxford Dictionary ha eletto parola dell’anno “post truth” (post verità), segno che l’intera comunicazione né è permeata, e proprio questa settimana Buzzfeed ha verificato che i contenuti più condivisi su Facebook le ultime settimane sono false notizie pro-Trump, tra cui diverse di quelle prodotte dall’autore che afferma di guadagnare da questo business di bufale circa 10mila dollari al mese.
Zuckerberg è così dovuto tornare sull’argomento per la seconda volta in pochi giorni: dichiara di non avere un vero e proprio vaccino anti-bufale, in quanto si tratta di un problema complicato, sia tecnicamente che filosoficamente, anche perché parte sempre dal principio voltairiano secondo cui le persone debbano avere una voce e pertanto bisogna essere preparati ad ascoltare anche l’altra campana. Zuckerberg afferma poi di star lavorando a nuovi strumenti per individuare automaticamente la disinformazione e per far segnalare agli utenti le notizie false .
Oltre a tagliare l’advertising agli autori riconosciuti di bufale, come promesso nelle settimane scorse insieme a Google, Facebook sta prendendo in considerazione l’ ipotesi di contrassegnare le notizie già segnalate e sta avviando collaborazioni con giornalisti e organizzazioni di fact-checking per cercare di dotare il social network di strumenti di verifiche super partes.
Claudio Tamburrino