Facebook vede quello che gli utenti non dicono

Facebook vede quello che gli utenti non dicono

Il social network traccia anche i post mai pubblicati, si spiega in uno studio. Si parla di autocensura e si cercano rimedi per abbattere le incertezze, ma la certezza è a Menlo Park non sfugge nulla
Il social network traccia anche i post mai pubblicati, si spiega in uno studio. Si parla di autocensura e si cercano rimedi per abbattere le incertezze, ma la certezza è a Menlo Park non sfugge nulla

I lunghi tentacoli di Facebook arrivano dappertutto, anche nei post scritti ma ma mai pubblicati. La rivelazione arriva dallo studio Self-Censorship on Facebook (letteralmente, “autocensura su Facebook”), realizzato da Adam Kramer, data scientist del social network, e Sauvik Das, dottorando presso la Carnegie Mellon University ed ex stagista presso il quartier generale di Facebook a Menlo Park.

Presentato come un documento mirato a capire le ragioni della mancata pubblicazione di post e status, lo studio si concentra sulle informazioni pensate ma non condivise da cinque milioni di utenti sparsi tra USA e Regno Unito, che sono stati monitorati per diciassette giorni durante l’estate 2012. Se è indubbio che gli iscritti alla piazza virtuale più frequentata del web non possano appellarsi al diritto di riservatezza, la novità annunciata pone seri interrogativi sull’attività del social network.

Dalla California fanno sapere che l’indagine è servita per comprendere i fallimenti delle interazioni (ad esempio quando un’amicizia non è corrisposta) e individuare i rimedi utili per evitare gli insuccessi. Si legge allora che il 71 per cento degli utenti ha digitato uno status, un commento o entrambi senza averlo poi postato; oppure che gli uomini tendono ad autocensurarsi più delle donne, con la percentuale che sale ancor più quando si tratta di maschi che contano poche donne nella loro cerchia di amici virtuali. E, ancora, che il timore della pubblicazione sale quando si sa che il datore di lavoro leggerà il post.

Dati probabilmente interessanti, ma che non giustificherebbero i motivi di un monitoraggio decisamente invasivo. Senza contare la tempistica scelta per la divulgazione della notizia, che a ridosso dello scandalo NSA non fa altro che buttare ulteriore benzina sul fuoco della privacy violata. Certo è che Facebook non è la prima a memorizzare il testo di un messaggio, opzione da anni utilizzata da servizi come Gmail, che salva in automatico tra le bozze i messaggi scritti ma non inviati. Resta però una differenza di fondo: Google fornisce un aiuto che evita la riscrittura dei messaggi, mentre se l’utente ha deciso di non pubblicare un messaggio su Facebook, è altamente improbabile che in futuro cambi idea.
Specificato che l’analisi è limitata ai form HTML per tracciare gli elementi dell’interazione e non rilevare il contenuto dei post, Facebook spiega che lo studio è un prezioso elemento per escogitare suggerimenti in grado di far superare l’incertezza.

Alessio Caprodossi

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Pubblicato il
19 dic 2013
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