Roma – Quegli utenti che si sono dedicati a pesanti operazioni di file sharing in questi mesi, e che stanno per essere denunciati formalmente dai discografici americani, stanno fremendo. I loro provider, costretti a consegnare i nomi, li stanno infatti informando delle iniziative legali nei loro confronti, con conseguenze che forse le major della RIAA non avevano previsto.
Stando a Eli Eilbott , uno degli avvocati che la Electronic Frontier Foundation sul sito dedicato consiglia di contattare, “sto ricevendo un sacco di telefonate”. La chiamata tipo è quella di genitori di giovani ragazzi, persino di 12 o di 13 anni, che hanno messo in condivisione cinque o sei CD nei sistemi peer-to-peer. Genitori che sono ora naturalmente in attesa di conoscere il destino giudiziario proprio e dei pargoli dallo sharing facile.
“Questi ragazzini – ha affermato Eilbott a USA Today – non sapevano di fare qualcosa di illegale, oppure non avevano idea di cosa questo significasse. I genitori sono spaventati”. Eilbott ha anche raccomandato di non seguire il consiglio della RIAA, che nelle scorse ore tramite un portavoce ha affermato: “Se qualcuno vuole risolvere il problema può sempre contattare la RIAA”.
Un altro celebre legale della EFF, Fred von Lohmann , ha cercato di gettare acqua sul fuoco per i quasi mille utenti i cui dati sono stati richiesti fino a questo momento dalla RIAA. “Non è scontato – ha affermato – che tutti saranno denunciati”. Secondo von Lohmann la risposta migliore da dare a utenti e genitori, al momento, è di cercarsi un avvocato e attendere gli sviluppi. Il tutto è naturalmente complicato dal fatto che chi detiene ufficialmente un account può non essere la persona che con quell’accesso ad internet ha condiviso materiali protetti.
Non contenta, la RIAA ha annunciato che grazie alla facilità con cui gli IP si possono individuare su network molto frequentati, come quelli di Kazaa, le richieste di nomi da questo momento in poi saliranno ad almeno 300 alla settimana.
E se ci sono avvocati che stanno rilasciando dichiarazioni per offrirsi gratuitamente nella difesa degli utenti eventualmente denunciati da RIAA, altri problemi si profilano all’orizzonte per i discografici. Non tutte le università e i college, infatti, sono disponibili a cedere i nomi dei propri studenti così facilmente.
Due tra le massime istituzioni universitarie americane, il Massachussets Institute of Technology e il Boston College , hanno infatti provvisoriamente bloccato tutto dopo aver rilevato irregolarità nella richiesta formale dei nomi avanzata dalla RIAA e registrata in tribunale, irregolarità che a loro parere rendono possibile opporsi alla richiesta di consegna dei nomi.
In particolare, sarebbe troppo esiguo il tempo fornito per avvertire studenti e famiglie interessate, tempo che viene garantito da una legge nota come “Family Education Rights and Privacy Act” . Sia al MIT che al Boston College, i responsabili dichiarano di non voler in alcun modo evitare di fornire le informazioni ma semplicemente di non poterlo fare nel rispetto della legge.
Per ora la RIAA si è limitata ad affermare di essere “delusa dal fatto che queste università abbiano scelto di opporsi e negare a noi e ad altri detentori di diritto d’autore i diritti così chiaramente garantiti dal Congresso”. Va detto che ci sono altre università che hanno invece già annunciato che forniranno i nomi in pochi giorni.
Secondo gli osservatori, però, le iniziative di questi due istituti sono solo le prime con le quali la RIAA dovrà fare i conti. Sarebbero infatti diverse le normative di tutela che in molti ambienti, a partire proprio dalle università dove il file sharing ha conosciuto il suo massimo sviluppo, potrebbero rendere alle major la vita ben più difficile di quanto ipotizzato.