A fronte della constatazione, oramai evidente, che la fatturazione elettronica “da sola” non decolla, e della certezza che stiamo parlando di risparmi potenziali pari a punti di PIL, diventa sempre più condivisibile l’idea di un intervento del Legislatore per imporne l’uso nei confronti della PA. Il problema è capire “come” è meglio farlo.
Poiché il fattore che blocca l’adozione della fatturazione elettronica è la mancanza di massa critica (a nessuno conviene essere il primo ad inviare o a ricevere fatture elettroniche), l’obiettivo dell’intervento del legislatore deve essere quello di raggiungere elevati tassi di adozione in tempi brevi. Meglio una soluzione semplice e facile da adottare anche da parte delle aziende più piccole, che una soluzione ricca di funzionalità, ma più onerosa.
Occorre quindi distinguere le (poche) cose necessarie per fare decollare la fatturazione elettronica da quelle che si possono magari introdurre in un secondo momento, ma che oggi risulterebbero controproducenti. Gli elementi indispensabili sono tre:
– una modalità semplice e a basso costo per permettere alle aziende di inviare fatture per via elettronica in formato immagine e in formato strutturato “machine readable”;
– una modalità semplice e a basso costo per rendere tali documenti coerenti con i requirement di legge per la dematerializzazione (firma elettronica, marca temporale, archiviazione sicura,…);
– una modalità semplice e a basso costo per risolvere il problema dell’indirizzamento e della consegna della fatture elettronica alla PA.
Il primo problema si risolve con soluzioni – già presenti sul mercato – di tipo non invasivo, in grado di ricavare un flusso di fatture elettroniche dall’output del gestionale senza necessità di intervenire sul gestionale stesso. Questi prodotti/servizi catturano dati e immagine della fattura direttamente dallo spool di stampa e si prendono carico delle fasi successive del processo (cifratura dei documenti, invio, verifica corretta ricezione,…). Si deve invece evitare di prevedere centri esterni di scanning delle fatture cartacee in quanto, come insegna l’esempio danese, rendono poi molto più difficile la diffusione della fatturazione elettronica fra le imprese.
Il secondo problema si risolve tramite servizi, già presenti sul mercato, forniti da operatori terzi che, a costi più che ragionevoli, liberano l’impresa da tutti i problemi legati al processo di conservazione sostitutiva. Potrebbe essere utile un sistema di “certificazione” della correttezza legale di tali soluzioni. A patto che la certificazione venga fornita in tempi brevi.
Per risolvere il terzo problema il legislatore ha previsto un soggetto, “il Sistema Unificato di Interscambio”, il cui obiettivo è appunto di “garantire il coordinamento e l’indirizzamento del flusso informatico verso tutte le amministrazioni”. Non dovrebbe essere difficile metterlo in piedi in breve tempo.
È tutto quello che serve, se ci concentriamo sull’obiettivo primario di “rendere lo scambio di fatture elettroniche semplice e naturale come lo scambio di mail”. Si può partire subito ed avere risultati concreti in pochi mesi. Imporre uno standard unico per lo scambio di fatture elettroniche appare invece discutibile, perché introdurrebbe complessità e farebbe allontanare la diffusione massiva della fatturazione elettronica. Uno standard universalmente accettato non esiste ancora. L’ISO si è messa all’opera per elaborarne uno, ma non sarà pronto prima di almeno 18 mesi.
Del resto gli stessi responsabili del gruppo di lavoro ISO sono concordi nel ritenere che bisogna partire subito con soluzioni “any-format/standard-in&any-format/standard-out”. Lo standard, una volta rilasciato, permetterà di rendere gli scambi ancora più efficienti, ma non deve – secondo i suoi promotori – rappresentare una pre-condizione all’adozione della fatturazione elettronica.
Banalizzando un poco, uno standard XML si compone infatti di 3 “strati”: una modalità univoca di “chiamare” i diversi elementi (i “tag” XML), la lista degli elementi “inclusi” nello standard con la loro definizione semantica, e i possibili valori che ciascun elemento può assumere.
Il primo “strato” è banale – si tratta essenzialmente di mettere tutti d’accordo su “come chiamare” un determinato elemento, per esempio il tag “nome cliente”. Anche in mancanza di uno standard comune è abbastanza semplice scrivere un pezzo di software in grado di “mappare” gli elementi comuni di uno standard in un altro.
Gli altri due “strati” sono invece ben più complessi, soprattutto se si vuole arrivare ad una soluzione universale. Decidere quali elementi includere e quali non includere nello standard della fattura significa definire una “best practice” mondiale dove una “best practice” non esiste. Non è possibile includere nello standard tutti gli elementi utilizzati nei vari usi di business perché ne deriverebbe uno standard complesso ed estremamente difficile da implementare nei sistemi contabili. D’altra parte, decidere che certi elementi non vanno utilizzati significa “imporre” centralmente un formato più o meno standardizzato di fattura, cosa non facile (anche perché, una volta approvato, tale formato deve essere implementato nei sistemi contabili, pena l’irrilevanza).
Sognare uno standard unico è un poco come sognare di parlare tutti la stessa lingua, l’Esperanto…come lingua materna. Pensare a soluzioni “any-format-in&any-format-out” è invece paragonabile a parlare in inglese con uno straniero non di lingua madre inglese. Non riusciremo a esprimere esattamente tutte le parole italiane in inglese, e il nostro interlocutore non riuscirà a “mappare” perfettamente tutti i suoi pensieri in inglese. Ma riusciremo a comunicare.
Fabio Annovazzi
nota: F.A. è responsabile Mercato Italia di Optiinvoice