Prevenire è meglio è l’intenzione dell’FBI, decisa ad acquistare una stampante 3D con l’obiettivo di esplorare le potenzialità del mezzo nella produzione di ordigni esplosivi. Non una novità assoluta, considerando che prima dell’agenzia statunitense si sono già mosse in egual direzione la polizia tedesca e quella australiana. A preoccupare maggiormente il Federal Bureau of Investigation è soprattutto la facilità d’impiego della tecnologia, che consente a chiunque di realizzare in pochi passaggi un’arma in grado di fare fuoco.
L’accelerazione arriva un anno dopo la comparsa del Liberator , la prima pistola (funzionante) ottenuta dalla stampa tridimensionale grazie all’intuito del giovane texano Cody Wilson e la successiva messa online dei file per realizzare l’arma. Oltre a scatenare polemiche per il gesto, Liberator aprì il dibattito sulla potenziale pericolosità delle armi plastiche capaci di passare indenni l’esame del metal detector.
Le riflessioni hanno così spinto le autorità statunitensi ad indagare a fondo sul tema, anche se a far discutere è stata più la scelta del modello prenotato per svolgere i test. La dura selezione del Terrorist Explosive Device Analytical è caduta sulla Stratasys Objet24 3D, stampante da 20mila dollari, definita nella relazione interna come “l’unico strumento in grado di produrre risultati di alta precisione e risoluzione, condizione necessaria per soddisfare e supportare l’FBI nel recupero dei dati in situazioni ambientali e termiche non ottimali”.
Alessio Caprodossi