L’FBI ha confermato di aver aperto un’indagine sull’ attacco informatico che ha portato Wikileaks a divulgare migliaia di email delle caselle di posta del Comitato Nazionale del Partito Democratico. “L’FBI – si legge nel comunicato – sta investigando sull’intrusione informatica ai danni del Comitato del Partito Democratico per capirne la natura e lo scopo”.
Si è trattato di una violazione che ha portato alla pubblicazione da parte del sito di soffiate di un database navigabile di oltre 19mila email, oltretutto non censurate dal punto di vista dei dati ivi contenuti e che potrebbe avere conseguenze imponderabili: secondo un’indagine condotta da Yahoo News , anche l’account del consulente del Partito Democratico Alexandra Chalupa sarebbe stato violato da un attacco collegato ad uno stato straniero, proprio quando stava iniziando a raccogliere materiale sul direttore della campagna elettorale di Trump Paul Manafort. Tale ipotesi da confermare sarebbe particolarmente grave perché si tratta di altri dati sensibili e perché non rappresenterebbe uno degli account ufficiali del partito, ma una casella di posta non direttamente collegato ad esso.
Rimanendo segreta la fonte di Wikileaks, le indagini sono dunque al momento concentrate sugli autori dell’hack e si guarda con insistenza alla pista straniera: dietro – secondo Robby Mook del Partito Democratico e secondo alcuni esperti di sicurezza – vi sarebbe la Russia, interessata a destabilizzare gli USA facendo eleggere il candidato repubblicano Donald Trump. Proprio come la prima offensiva subita a giugno dai server del Partito Democratico.
Anche il fatto che Chalupa avesse inviato email con alcune informazioni sulla sua ricerca ad un giornalista invitato ad un meeting con giornalisti ucraini a Washington, prima di subire l’attacco, sembra supportare la tesi di un coinvolgimento russo. Inoltre diversi indizi collegano simpatie russe al candidato repubblicano Trump, che da parte sua non nasconde simpatie per Putin e non per i contrappesi occidentali come la UE o la NATO.
Gli uomini di Trump hanno naturalmente smentito qualsiasi tipo di legame tra Mosca e il candidato Repubblicano (accusa non implicita nell’eventuale ruolo russo nel cyberattacco), così come ha fatto Julian Assange che ha riferito non esserci “nessuna prova” del collegamento dell’attacco alla Russia e che in ogni caso la fonte sarebbe irrilevante rispetto al contenuto. Le accuse, in ogni caso, sono arrivate a Mosca, anche se in via ufficiosa attraverso una domanda di un giornalista al ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov il quale ha risposto di “non voler utilizzare le parole da quattro lettere”.
Il dibattito nazionale – intanto – sembra essersi concentrato sulle implicazioni future di tali ipotesi di cyber-intervento in grado di influenzare le elezioni politiche in un’altra nazione. In particolare, già a seguito dell’attacco di giugno, l’azienda di sicurezza Crowdstrike riferiva che questo tipo di attacchi “è destinato a ripetersi nei confronti dei candidati presidenziali e ai relativi partiti fino alle elezioni del prossimo novembre”.
La questione, nel frattempo, si è consolidata come squisitamente politica: mentre i Democratici sono impegnati a sostenere di essere il bersaglio di uno stato straniero, Trump ne approfitta per attaccare la gestione della sicurezza informatica da parte della candidata Hillary Clinton, anche se tra hillaryclinton.com e donaldjtrump.com , quest’ultimo secondo gli esperti sarebbe quello meno sicuro, non in grado neanche di adeguarsi agli standard DMARC relativi alle email.
Claudio Tamburrino