Il giudice William G. Young, del Corte Distrettuale del Massachusetts, ha inferto un colpo durissimo alle indagini dell’FBI basate sulla compromissione dei computer degli utenti di Tor: le prove raccolte tramite un hack non possono essere considerate legali, ha stabilito Young, pertanto le accuse mosse sulla base delle suddette prove vengono inevitabilmente a cadere.
Il caso è quello oramai famigerato di Playpen, portale pedopornografico accessibile esclusivamente dai nodi della darknet a cipolla compromesso dai federali USA nell’ambito dell’Operazione Pacifier: preso il controllo dei server, l’FBI ha infettato i PC dei visitatori identificando gli IP di 1.300 utenti e arrestando 137 sospetti.
Il modus operandi del Bureau era stato recentemente già messo sotto pressione da un altro giudice, che aveva sentenziato a favore di uno dei suddetti sospetti – il cittadino canadese Jay Michaud – e aveva richiesto all’FBI di svelare i segreti della sua “network investigative technique” (NIT) usata per bypassare l’anonimato di Tor.
In quel caso l’FBI si è rifiutata di riferire alcunché alla corte, ma la nuova decisione del giudice Young potrebbe avere effetti devastanti sull’intera operazione Pacifier: l’autorizzazione a usare la NIT è stata emessa senza competenza giurisdizionale, spiega Young, pertanto le prove contro Alex Levin sono da considerarsi non valide.
Come Michaud, Levin è uno degli arrestati sospetti di far parte del circolo pedopornografico di Playpen, e la decisione a lui applicata da Young potrebbe ora essere sfruttata anche dagli altri sospetti per far decadere le accuse.
Alfonso Maruccia