La Federal Communications Commission (FCC) ha scritto alla US Court of Appeals per il Distretto di Columbia difendendosi dall’accusa dei provider: imporre la net neutrality e quindi negare agli ISP la possibilità di selezionare i contenuti che veicolano non significa violare il Primo Emendamento della Costituzione statunitense , un diritto che di fatto, dice la FCC, non ha alcun senso per i fornitori di accesso a Internet.
Il caso risale a qualche anno fa , è precedente alle regole sulla net neutrality recentemente ratificate dalla FCC – con tanto di riclassificazione degli ISP come utility pubbliche da titolo II – e vede alcuni ISP schierati contro la commissione federale, a loro dire colpevole di violare la presunta libertà di espressione delle corporation di rete.
Nel difendersi davanti alla corte del Distretto di Columbia, la FCC ha tra l’altro fatto notare che i provider non hanno alcun “messaggio” da veicolare in rete, essendo dei semplici canali di connessione tra gli utenti e la rete telematica mondiale e quindi responsabili di garantire l’esercizio della libertà di espressione altrui.
“Quando un utente indirizza il suo browser sulla pagina editoriale del New York Times o del Wall Street Journal” spiega semplicemente la FCC, quell’utente “non ha ragione di pensare che i punti di vista espressi su quelle pagine appartengono al suo fornitore di connessione a banda larga”.
I provider agiscono né più né meno come le compagnie telefoniche nel connettere gli utenti ai siti e servizi di rete, dice la FCC, e il richiamo al Primo Emendamento è semplicemente pretestuoso. La prossima fase del processo è fissata per il 4 dicembre.
Alfonso Maruccia