Il Parlamento Europeo riunito in seduta plenaria a Strasburgo ha dato il via libera alla riforma del Fondo Europeo di Adeguamento alla Globalizzazione (FEAG o FEG) istituito nel 2006 che diventa così Fondo Europeo per la Transizione (FET). Il testo, proposto nel maggio scorso dalla Commissione Europea e portato in aula, ha ricevuto 570 voti favorevoli, 103 contrari e 14 astensioni. La volontà dichiarata è quella di intervenire a livello normativo così da offrire un supporto concreto a coloro che si trovano a dover affrontare ciò che può essere definito come un effetto collaterale dell’innovazione.
Europa: da FEAG a FET
In discussione non vi è dunque solo un cambio di nome, ma anche l’ampliamento del campo di applicazione e delle casistiche considerate per poter accedere al Fondo, istituito con l’obiettivo di far fronte agli effetti negativi non solamente della globalizzazione come previsto finora, ma anche dei cambiamenti legati a doppio filo all’introduzione di nuove tecnologie nel tessuto produttivo e imprenditoriale. Si parla di digitalizzazione e automazione, concetti riconducibili a ciò che viene solitamente presentato con un’accezione esclusivamente positiva mediante termini come Digital Transformation e Industria 4.0, ma che talvolta provoca difficoltà nell’adeguamento a nuove forme di business.
Ciò che fa l’Europa è cercare di instradare il cambiamento in atto in una direzione che possa portare a un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse, tenendo in considerazione le esigenze delle aziende e senza porre freno all’innovazione.
Il Fondo Europeo per la Transizione
Al fine di andare incontro alle esigenze manifestate dai dipendenti di quelle imprese che si trovano a dover fare i conti con una riduzione del personale, il Parlamento Europeo ha deciso di ridurre la soglia per poter accedere ai finanziamenti, portandola a 200 o più licenziamenti (prima era fissata a 500). Diviene dunque questo il nuovo requisito necessario per presentare domanda al Fondo Europeo per la Transizione.
Il FEAG è nato oltre un decennio fa come (citiamo dal documento ufficiale) “strumento in grado di recare un sostegno, in uno spirito di solidarietà, ai lavoratori che hanno perso il lavoro in seguito a importanti trasformazioni della struttura del commercio mondiale dovute alla globalizzazione”. Tenendo conto dei cambiamenti che in questo lasso di tempo hanno interessato lo scenario economico e industriale a livello non solo continentale, ma globale, l’Europa si trova ora (riportiamo dalla relazione sulla riforma) a considerare “l’interazione e l’influenza reciproca tra il commercio aperto, i mutamenti tecnologici, la digitalizzazione e l’automazione e altri fattori quali il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio”.
Nel testo approvato le finalità del FET: sostegno a chi perde il lavoro in eventi di ristrutturazione su vasta scala, aiuto a trovare una nuova occupazione e semplificazione del processo di reinserimento dei lavoratori espulsi da settori interessati da un deterioramento della situazione economica. Il documento cita, tra le cause di instabilità generale dell’economia, anche il “recesso del Regno Unito dall’Unione Europea”, tema caldo in questi giorni in cui si torna a discutere delle modalità di attuazione della Brexit.