Roma – Edward Felten , professore di Princeton e paladino della libertà digitale nonché della lotta anti-DRM , ha pubblicato una lunga analisi che boccia senza appello le tecnologie di water-marking .
I watermark sono “marchi” digitali che inseriti all’interno di file multimediali ne permettono l’identificazione univoca. Le copie illegali, quindi, possono essere facilmente individuate sia da applicazioni software che da player hardware. E questo ha molte conseguenze: la loro riproduzione ad esempio può essere bloccata su dispositivi blindati realizzati allo scopo. Una soluzione sviluppata in origine per resistere ai tentativi di rimozione ma, secondo Felten, questa è solo un’illusione.
Il professore ha fatto qualche esempio: analizzando in parallelo due copie di un file, una con watermark ed una senza, è possibile individuare entrambi e procedere, ad esempio, con la rimozione. Questo metodo è già stato utilizzato dal collega di Felten, Alex Halderman, per decifrare il watermark MediaMax presente sui discussi CD Sony .
Allo stesso tempo Felten sottolinea che anche se non si ha a disposizione un file pulito, è sufficiente disporre dello stesso file con watermark diversi per individuarli e, quindi, rimuoverli . Ogni differenza tra i file corrisponde infatti al watermark: rimuoverli è semmai solo questione di volontà. Felten sostiene che, per farlo, può bastare anche un player appositamente modificato, ad esempio un player introdotto sul mercato per far girare file con watermark: la stessa tecnologia utilizzata per riconoscere i “marchi digitali” esporrebbe il dispositivo ad un’azione di reverse engineering, rendendolo un efficace cacciatore di watermark.
Tutto questo, secondo l’autorevole ricercatore, dovrebbe permettere di comprendere i pregi e difetti del watermarking. Felten ammette che il watermark potrebbe rivelarsi efficace qualora ogni copia di un file avesse lo stesso watermark , posizionato nel medesimo modo, in una posizione sconosciuta e inaccessibile al pubblico. Quindi può avere un senso per piattaforme che inseriscano un marchio distintivo in tutte le versioni di un file, e che poi sono in grado di controllarli – in maniera esclusiva – come il content broadcasting via radio, TV o Web. Il watermarking individuale, applicato ad ogni consumatore, invece, apre la strada alla “comparazione”.
Felten ha confermato quindi che le soluzioni di watermarking applicate al DRM sono senza ombra di dubbio “deboli”. Le applicazioni DRM, infatti, non solo richiedono che tutti i dispositivi siano in grado di rilevare i watermark – lasciando il fianco scoperto al reverse engineering – ma si affidano anche alla distribuzione di watermark diversi per ogni consumatore.
In conclusione, Felten sostiene che il watermarking può essere considerata una soluzione efficace solo in alcuni ambiti e con tutti i suoi limiti , però certamente poco efficiente per le tecnologie DRM. Tecnologie, queste ultime, già duramente bastonate dagli stessi Felten e Halderman.
Dario d’Elia