Ha preso improvvisamente fuoco il già caldo dibattito nel Regno Unito sulla cosiddetta cura Mandelson , per estirpare alla radice il file sharing selvaggio. La House of Lords britannica è stata così il teatro principale dello scontro, in vista dell’adozione definitiva del Digital Economy Bill .
Due notizie sembrano aver colpito profondamente membri del Parlamento e osservatori esterni. La prima è che il contestato paragrafo 17 del Digital Economy Bill è stato modificato, dopo la bocciatura ai voti di una clausola che avrebbe potuto garantire a qualsiasi Segretario di Stato britannico (presente e futuro) di introdurre modifiche sostanziali al Copyright, Design and Patent Act del 1988.
La seconda , meno buona per tutti gli attivisti digitali a favore dei fondamentali diritti dei netizen: al paragrafo 17 è stata aggiunta una clausola che potrebbe fornire all’alta corte britannica un forte potere censorio . E, non senza una certa ironia, i fautori di questa visione – il fronte liberal-democratico – sono stati precisamente gli stessi che poco prima avevano bocciato ai voti la forma primigenia del paragrafo 17. In pratica, si è passati da una pioggia di critiche ad una tempesta di dissenso.
La proposta liberal-democratica – passata alla House of Lords con 165 voti favorevoli e 140 contrari – fornisce in pratica agli alti vertici dell’autorità giudiziaria la possibilità di emanare un’ingiunzione nei confronti di quei particolari siti che si macchino di violazione del copyright. Per obbligare potenzialmente i server che li ospitano a tagliarli fuori dalla Rete .
Un meccanismo che dovrebbe placare gli animi più preoccupati dalla possibile introduzione nella legislazione britannica della cosiddetta dottrina dei three-strike , fondata sulla disconnessione degli utenti. Secondo i rappresentanti liberal, la nuova versione della legge dovrebbe risultare più adeguata. Un modo – stando alle dichiarazioni di Lord Clement-Jones – per inviare un segnale positivo all’industria dei contenuti senza passare attraverso la privazione di Internet.
E su questo punto, molti osservatori hanno espresso tutto il proprio disaccordo. A partire dal direttore esecutivo dell’ Open Rights Group , Jim Killock. “Questa proposta aprirebbe le porte ad un massiccio sbilanciamento degli equilibri a favore dei detentori dei diritti – ha spiegato Killock – Cittadini e piccole aziende si ritroverebbero seriamente minacciati, nonché impotenti di fronte ad attacchi del copyright. Fino alla definitiva chiusura dei siti da loro gestiti”.
Ed è proprio sulla potenziale chiusura di questi siti che hanno imperversato le principali polemiche. La più oscura paura consiste nella possibile introduzione in terra d’Albione di un meccanismo molto simile a quello relativo al Digital Millennium Copyright Act (DMCA), che permette negli Stati Uniti di bloccare certe attività online ritenute illecite da parte dei detentori dei diritti.
Il che – come osservato da più di una fonte – potrebbe portare ad obbligare i provider ad abbassare le saracinesche su tutti quei siti che ospitano materiale protetto dal copyright. Su tutti, la piattaforma di video sharing YouTube. Nelle parole di Lilian Edwards, esperto di cyberlaw alla Sheffield University, per la prima volta sarà possibile per le grandi sorelle dell’industria ordinare agli ISP britannici di bloccare la piattaforma di Google.
E per quanto riguarda quei netizen macchiatisi di file sharing illecito? Sempre nel corso del dibattito alla House of Lords , il conservatore Lord Lucas ha provveduto a stilare un resoconto riassuntivo dello schema in corso di approvazione in Parlamento. Dopo un iniziale rastrellamento degli indirizzi IP (e relativa identificazione degli utenti attraverso i provider), si verrebbero a generare notifiche composte da tre elementi chiave .
Il primo, che informi il netizen dell’avvenuta violazione. Il secondo, che minacci il suddetto netizen di ricorrere alla giustizia con pene pecuniarie molto elevate. Il terzo, che proponga al sempre suddetto netizen di pagare una somma forfettaria di 500-800 sterline (553-880 euro) per fare in modo che i detentori del copyright dimentichino l’accaduto.
Lord Lucas ha così parlato di una vera e propria forma di scamming, data la quasi certa impossibilità degli utenti di dimostrare la propria innocenza . Una quasi centenaria nonnina – secondo Lucas – non potrebbe fare alcunché, dato il semplice possesso di una connessione alla Rete, che basta all’industria per stabilire la sussistenza di un reato a mezzo file sharing.
Lord Lucas si è quindi dimostrato un fiero oppositore di questo meccanismo, ammettendo di preferire la proposta dei liberal-democratici. Che, tuttavia, non è stata l’unico focolare di discussioni nella recente seduta della House of Lords. Uno degli altri punti critici orbitanti intorno al Digital Economy Bill riguarda la forte pressione del governo affinché non ci sia il vaglio dell’Office of The Information Commissioner .
L’analisi dell’organo per la privacy britannico sarebbe un passo non necessario, almeno secondo Lord Young, lo stesso che aveva annunciato una regolamentazione più rigida per gli hotspot pubblici per l’accesso in WiFi. Sarebbe cioè una perdita di tempo inutile, che rallenterebbe l’iter di adozione del Digital Economy Bill . E queste dichiarazioni hanno scatenato la furia di alcuni MP britannici, su tutti Lord Putnam.
Lord Putnam ha infatti puntato il dito contro una legislazione che starebbe ricevendo continui strattoni da parte della lobby dell’industria del copyright. Legislazione che risulta attualmente alquanto deficitaria in termini di protezione della privacy degli utenti. “Sono assolutamente convinto – ha spiegato Putnam – che ci sarà bisogno di una nuova legge nei prossimi due o tre anni. Perché questa presenta alcune gravi lacune che dovrebbero essere colmate ora”.
Mauro Vecchio