Un unico fronte comune per un appello accorato , levatosi all’unisono nel corso dell’ultima edizione del World Copyright Summit a Bruxelles. La Commissione Europea dovrebbe intervenire al più presto e con rinnovato vigore, per introdurre regole più severe nei confronti di chi condivide illegalmente contenuti audiovisivi.
Una questione di integrità, almeno secondo l’ex-cantante dei Bee Gees Robin Gibb, attuale presidente della International Confederation of Societies of Authors and Composers . Gli artisti meriterebbero di essere adeguatamente ricompensati per il proprio lavoro, mentre sonore sanzioni pecuniarie – persino la detenzione – dovrebbero attendere al varco tutti gli scariconi del P2P.
La posizione di Gibb sembra certo agguerrita, seguita a ruota dai vertici di SABAM, equivalente di SIAE in terra belga: a lucrare sulla condivisione illecita di canzoni e film sarebbero anche – se non soprattutto – i vari Internet Service Provider (ISP). Proprio questi ultimi approfitterebbero dei flussi del P2P per guadagnare in termini di utenza e abbonamenti .
I vertici della tedesca GEMA hanno dunque proposto di istituire a livello comunitario una vera e propria tassa da imporre ai singoli ISP, e a colossi della Rete come YouTube. La gigantesca piattaforma di video sharing guadagnerebbe dal caricamento di brani in violazione del copyright.
Forse in maniera inaspettata, dalla Cina è arrivato un esempio nell’ormai agguerrita lotta alla pirateria online. Un consorzio formato tra vari operatori di Internet – c’è il search engine Baidu e l’operatore China Mobile, ma anche Sina e China Record Corporation – che guidi lo sviluppo in Rete di un mercato musicale legale.
Mauro Vecchio