Film al cinema, poi in streaming: è anti-Netflix?

Film al cinema, poi in streaming: è anti-Netflix?

Le intenzioni del ministro Bonisoli sono chiare: tutelare gli interessi e gli investimenti di chi gestisce una sala cinematografica.
Film al cinema, poi in streaming: è anti-Netflix?
Le intenzioni del ministro Bonisoli sono chiare: tutelare gli interessi e gli investimenti di chi gestisce una sala cinematografica.

Impossibile non porsi il quesito, alla luce di quanto dichiarato nei giorni scorsi dal ministro Bonisoli: con un decreto si intende fissare una finestra entro la quale i film saranno disponibili esclusivamente all’interno delle sale, per poi giungere solo in un secondo momento sulle piattaforme di streaming. Dunque, i film prima al cinema e poi su Netflix?

Cinema e streaming

Da una parte la distribuzione sul grande schermo, dall’altra l’arrivo sui servizi di streaming. Due modalità che ancora faticano a convivere. Una tensione palpabile, tangibile, che si è manifestata anche all’ultima edizione del Festival di Cannes, dove le produzioni Netflix sono state le grandi assenti (hanno invece trionfato a Venezia e ai prossimi Oscar potrebbero ambire alla statuetta). Eppure sempre di film si tratta, sempre di “opere audiovisive” se vogliamo prendere in prestito un termine legalese. Come se la destinazione di una pellicola, la sua modalità di fruizione, fosse criterio sufficiente per stabilirne il valore.

La volontà del ministro Bonisoli è quella di assicurare ai gestori delle sale cinematografiche un’esclusiva temporale per la loro programmazione: in altre parole, all’uscita per vedere un film dovremo rivolgerci al botteghino oppure attendere la scadenza del periodo fissato per vederle su Netflix, Prime Video e sulle altre piattaforme. Ecco quanto dichiarato nei giorni scorsi.

Mi accingo a firmare proprio oggi il decreto che regola le finestre in base alle quali i titoli cinematografici potranno essere offerti nelle sale e poi su tutte le piattaforme.

E la firma è arrivata. La finalità è quella di garantire la sostenibilità di un business (quello delle sale) senza alcun dubbio messo a dura prova dalla crescita di Netflix & co. fatta registrare nel corso degli ultimi anni.

Penso sia importante assicurare che chi gestisce una sala cinematografica possa essere tranquillo nel programmare dei film senza che questi siano disponibili in contemporanea su altre piattaforme, quindi possa sfruttare appieno l’investimento che serve nel migliorare le sale e nel renderle sempre più ricche, sempre più emozionanti, sempre più in grado di dare un’esperienza unica.

Va chiarito che il decreto (attuativo della Legge Cinema 2016) fa riferimento solo ai film di produzione italiana. Dovranno trascorrere almeno 105 giorni dalla prima proiezione in sala perché possano essere inseriti nei catalogi delle piattaforme di streaming. Il testo prevece alcune eccezioni: la finestra può essere ridotta a 60 giorni se la pellicola è programmata in meno di 80 strutture e raccoglie meno di 50.000 spettatori nelle prime tre settimane oppure a 10 giorni se è programmata in sala per un numero di giorni pari o inferiori a tre diversi da venerdì, sabato e domenica.

Anti-Netflix o pro-Netflix?

Se le parole di Bonisoli lasciano intendere la volontà di tutelare le sale, anche a discapito dei protagonisti del mondo streaming, quelle del sottosegretario Lucia Borgonzoni dipingono un quadro differente:

… è un provvedimento adottato per liberare prima dal vincolo della finestra esistente fino ad oggi quei film che, anche se non proiettati o visti in sala, si trovavano costretti ad aspettare 105 giorni per uscire su altri canali di divulgazione e sfruttamento.

Come va letta dunque la norma? Sotto quale luce dev’essere interpretata? Da una parte si va a confermare l’introduzione di un vincolo di esclusiva che inevitabilmente interesserà pellicole come “Roma” o “Sulla mia pelle” (per entrambe Netflix ha previsto l’arrivo nelle sale, prima o in contemporanea al debutto in streaming), dall’altra si va ad accorciare l’attesa per il debutto sulle piattaforme online delle produzioni che al botteghino raccolgono meno successo.

Ancora una volta ci troviamo di fronte alla necessità di trovare un nuovo equilibrio. La dinamica richiama alla mente quella già vista in altri ambiti (il caso Uber-taxi su tutti), dove il legislatore interviene per evitare che una nuova forma di business arrivi a intaccare un modello già esistente e consolidato. Da un lato è legittima la volontà di tutelare chi gestisce le sale sul territorio, dall’altro non bisogna inciampare in un eccesso protezionistico che in un’ottica lungimirante non può che nuocere all’intero settore, andando ad allontare interesse e investimenti da parte di realtà (Netflix, Amazon ecc.) inevitabilmente destinate a giocare un ruolo sempre più importante nell’industria dell’intrattenimento.

Fonte: Ansa
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Pubblicato il
19 nov 2018
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