Filtri web davanti alla Corte Suprema

Filtri web davanti alla Corte Suprema

di Adele Chiodi - Le scelte della massima corte americana finiranno per influenzare tutti. Ci vorranno mesi ma, alla fine, si saprà se installare filtri antiweb nelle biblioteche significa ledere i diritti di qualcuno
di Adele Chiodi - Le scelte della massima corte americana finiranno per influenzare tutti. Ci vorranno mesi ma, alla fine, si saprà se installare filtri antiweb nelle biblioteche significa ledere i diritti di qualcuno


Roma – La legislazione statunitense in materia è ricattatoria: alle biblioteche che offrono postazioni internet e non installano filtri contro certi materiali che si trovano sulla rete non vengono erogati fondi federali. Una normativa, il “CIPA”, che ha suscitato ampie proteste e che sa molto di “cappio” stretto attorno al collo dei bibliotecari americani.

A valutare la questione, a decidere cioè se la legge firmata nel 2000 dall’allora presidente Bill Clinton sia costituzionale o meno, sarà la Corte Suprema degli Stati Uniti che in queste ore ha fatto sapere di aver deciso di occuparsene.

Il caso è arrivato in quella sede perché un tribunale federale di Philadelphia ha già sentenziato che la normativa viola il Primo Emendamento, cioè i diritti alla libera espressione dei frequentatori delle biblioteche che da lì si connettono ad internet. Non solo, viene ritenuto inaccettabile che i gestori delle biblioteche non possano in autonomia decidere se e come imporre dei filtri. Queste erano peraltro la tesi degli oppositori della legge, in primis dell’Associazione per i diritti civili ACLU .

Va detto che fino a questo momento alla prova dei fatti, in tribunale, i filtri automatici che dovrebbero impedire l’accesso a siti pornografici e ad altri materiali considerati inadatti per i minori hanno dimostrato di non saper fare davvero il proprio lavoro. Capita infatti con una certa frequenza che non siano filtrati siti a luci più che rosse o che sia bloccato l’accesso a spazi web del tutto innocenti.

Per le biblioteche, visti i dindi in gioco, il caso è senz’altro di primo interesse. Ma val la pena sottolineare che se si vuole raggiungere pornografia in rete, o altri materiali “offensivi per i minori”, non basta davvero impedire l’accesso al web. Basta possedere una casella di posta elettronica qualunque, infatti, per iscriversi a migliaia di mailing list nelle quali si scambiano immagini e testi su qualsiasi argomento, anche quelli più scabrosi per la morale a stelle e strisce. Non parliamo poi dei newsgroup.

Ci vorranno dei mesi per sapere se l’Alta Corte statunitense giudica incostituzionale il CIPA e se questa legge effettivamente viola i diritti di qualcuno. Sono mesi in cui terremo il fiato sospeso, perché è inutile illudersi: come sempre più spesso accade, le decisioni prese oltreoceano sono destinate a impattare pesantemente anche su quelle assunte qui da noi. Visto che proprio noi, per il momento, evitiamo accuratamente di fermare con leggi libertarie e garantiste i nuovi pericolosi venti di censura che sempre più minacciosi spirano da Occidente.

Adele Chiodi

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Pubblicato il
13 nov 2002
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