FIMI: Direttiva Copyright, la direzione è quella giusta

FIMI: Direttiva Copyright, la direzione è quella giusta

La FIMI fa da controcanto a YouTube e plaude al recepimento italiano della Direttiva europea sul Copyright: le piattaforme siano responsabili.
FIMI: Direttiva Copyright, la direzione è quella giusta
La FIMI fa da controcanto a YouTube e plaude al recepimento italiano della Direttiva europea sul Copyright: le piattaforme siano responsabili.

Dopo le critiche di YouTube al recepimento della Direttiva Copyright, è utile tornare indietro di un passo a quando, il 5 agosto scorso, dalla Federazione Industria Musicale Italiana è invece giunta la soddisfazione per il percorso intrapreso dal Governo. In quella sede il CEO FIMI, Enzo Mazza, già promuoveva il testo di recepimento della Direttiva 790/2019 approvato in Consiglio dei Ministri:

Un passo fondamentale per la transizione digitale del settore dei contenuti e un punto fermo che riequilibra i rapporti tra le piattaforme e i produttori di contenuti musicali, eliminando quel deleterio value gap che ha contraddistinto questi ultimi anni di evoluzione tecnologica.

FIMI: ora la strada è giusta

La FIMI entra ora nel merito della questione sottolineando proprio quel distinguo che porterà le piattaforme su un piano di maggior responsabilizzazione, aspetto che YouTube ovviamente vorrebbe evitare. Spiega infatti la FIMI:

I prestatori di servizi di condivisione di contenuti online, quando concedono l’accesso al pubblico a opere protette dal diritto d’autore o ad altri materiali protetti caricati dai loro utenti, compiono un atto di comunicazione al pubblico o un atto di messa a disposizione del pubblico per i quali devono ottenere un’autorizzazione dai titolari dei diritti, anche mediante la conclusione di un accordo di licenza.
L’autorizzazione include gli atti compiuti dagli utenti che caricano sulla piattaforma del prestatore di servizi opere protette dal diritto d’autore quando non agiscono per scopi commerciali o la loro attività non genera ricavi significativi. In questi casi non si applica la limitazione di responsabilità di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70.

Le piattaforme hanno dunque ora la piena responsabilità di dimostrare di aver compiuto il massimo sforzo possibile al fine di evitare la violazione dei diritti d’autore sui contenuti. Una sorta di ribaltamento dell’onere, insomma, che pone le piattaforme su un piano differente rispetto al passato. Questo atto di “buona fede” nel dimostrare di aver fatto il possibile per il rispetto del copyright è essenziale per declinare responsabilità e sanzioni, così da promuovere un atteggiamento proattivo nella tutela dei diritti da parte del “prestatore di servizio”:

Per stabilire, secondo il principio di proporzionalità, se il prestatore di servizi di condivisione di contenuti online è esente da responsabilità, sono presi in considerazione, con valutazione caso per caso, anche la tipologia, il pubblico e la dimensione del servizio e la tipologia di opere o di altri materiali caricati dagli utenti del servizio, nonché la disponibilità di strumenti adeguati ed efficaci e il relativo costo per i prestatori di servizi. In ogni caso, non è esente da responsabilità il prestatore di servizi di condivisione di contenuti online che pratica o facilita la pirateria in materia di diritto d’autore.

Secondo la FIMI questa formula di recepimento avrà anche un positivo effetto collaterale di redistribuzione degli introiti, che l’industria musicale ritiene da tempo profondamente mal distribuita tra le parti: “Se osserviamo i ricavi del 2020“, spiega la FIMI, “piattaforme con milioni di utenti come YouTube, hanno generato ricavi molto contenuti rispetto ai segmenti in abbonamento e non solo, e questo grazie ad una normativa non aggiornata che ha ampliato l’esistente value gap, ovvero la discriminazione remunerativa su piattaforme che di fatto operano nello stesso segmento di business“. E continua: “Se guardiamo ai ricavi dagli abbonamenti questi hanno superato i 104 milioni di euro l’anno scorso, contro i 22,5 milioni di quelli giunti dal settore video stream. Questi ultimi sono stati inferiori perfino al modello ad-supported audio che ha generato oltre 38 milioni di euro“.

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Pubblicato il
17 set 2021
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