Per un sistema di tassazione più equo e trasparente, che risulti effettivamente orientato alla crescita economica, un pacchetto di emendamenti al decreto sulla delega fiscale presentato alla commissione Finanze della Camera da Ernesto Carbone (Pd). Supportati dal premier Enrico Letta – “non ci saranno più scorciatoie”, aveva promesso nel corso dell’ultimo G8 di Lough Erne – gli esponenti del Partito Democratico dichiarano guerra alle potenti multinazionali operative sul web, contro quelle tattiche fiscali che di fatto aggirano il pagamento delle tasse in Italia.
Da Google a Facebook, i cosiddetti over-the-top sono finiti sotto la lente del fisco in numerosi paesi europei, Italia compresa , a causa dell’esiguità delle tasse versate a fronte di diversi miliardi di fatturato. Tra conti offshore e spostamenti di business in paesi dalle politiche fiscali più morbide – dalla Repubblica d’Irlanda al Lussemburgo – gli operatori del web potrebbero subire un nuovo regime di tolleranza zero come avanzato nella proposta legislativa di Carbone e dell’intero Partito Democratico.
Nel primo tra gli emendamenti presentati alla commissione Finanze della Camera, si dovrebbe prevedere anche in Italia “l’introduzione, in linea con le migliori esperienze internazionali, di sistemi di tassazione delle imprese multinazionali basati su adeguati sistemi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale”. Il regime fiscale del Belpaese vorrebbe così seguire i modelli adottati in alcuni stati statunitensi, che prevedono la stima di certi dati economici di localizzazione – esempio, il numero dei dipendenti o i metri quadrati delle sedi – nel calcolo della parte dei ricavi globalizzati che devono essere tassati nei vari paesi ospitanti.
“È necessario andare a chiedere a queste multinazionali di rispettare in toto le regole fiscali e del mercato – ha spiegato Carbone – pagando le tasse per quanto realmente producono in termini di fatturato in Italia”. A fronte di incassi miliardari, alcuni OTT hanno denunciato al fisco italiano una cifra che complessivamente supera di poco il milione di euro: 950 mila euro (Amazon) e 132mila euro (Facebook) .
Il secondo emendamento presentato dal Pd stabilisce invece che chiunque “venda campagne pubblicitarie online erogate sul territorio italiano debba avere una partita Iva italiana, ivi incluse le operazioni effettuate mediante i centri media e gli operatori terzi”. In questo modo si eviterebbe che le aziende high-tech dirottino all’estero il budget della pubblicità digitale italiana e sul mercato tricolore.
Mauro Vecchio