Era stato colto a fotografare sotto la gonna di una donna durante lo shopping, e ora una corte di appello della Florida ha deciso di imporre a Aaron Stahl di comunicare il PIN per lo sblocco del suo iPhone 5. Secondo i giudici la Costituzione è salva anche così, ma non tutti la pensano allo stesso modo.
Stahl è già stato colto sul fatto dalla stessa vittima ed è poi finito in prigione dopo essere stato identificato dalla polizia grazie al numero di targa della sua vettura. L’accusato si è giustificato dicendo di aver fatto cadere lo smartphone, anche se le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso (CCTV) lasciano probabilmente intendere tutt’altro.
Inizialmente Stahl aveva fornito l’iPhone agli agenti per una perquisizione, ma è poi tornato sui propri passi rifiutandosi di fornire il codice di accesso . Il giudizio di primo grado era stato favorevole nei suoi confronti, parlando della necessità di rispettare il Quinto Emendamento della Costituzione statunitense contro le auto-incriminazioni imposte dall’esterno.
L’ultima decisione della Corte di Appello ha invece capovolto la sentenza precedente, rifacendosi espressamente a un caso degli anni ’80 già trattato dalla Corte Suprema (Doe v US 1988) in cui si stabiliva la possibilità di imporre la consegna della chiave per una cassetta di sicurezza ma non di rivelare forzatamente la combinazione per la sua apertura.
I giudici della Florida hanno messo in dubbio la validità della distinzione tra chiave e combinazione nel caso incriminato, così come a loro giudizio la sentenza non farebbe più giurisprudenza a causa del progresso tecnologico degli ultimi anni. Dal punto di vista di Mark Rumold di Electronic Frontier Foundation (EFF), invece, la corte ha svolto un pessimo lavoro e altri giudici negli States hanno già trattato la questione con maggior rispetto per il Quinto Emendamento.
Di certo quello incentrato sulle manie da guardone di Stahl con l’iPhone 5 bloccato tramite PIN non è il primo e non sarà l’ultimo caso in cui le autorità cozzano contro i dispositivi digitali protetti da misure tecnologiche crittografiche (e non), basti ricordare l’oramai famigerato crack ricompensato profumatamente dall’FBI per avere accesso all’iPhone di un sospetto terrorista. I media chiedono trasparenza , ma le autorità su entrambe le sponde dell’Atlantico pensano piuttosto a forzare la mano imponendo la collaborazione delle aziende produttrici.
Alfonso Maruccia