74 primavere alle spalle, fondatore di Huawei nell’ormai lontano 1987, Ren Zhengfei non si concedeva ai microfoni della stampa internazionale da ormai circa quattro anni. Lo ha fatto oggi in occasione di una tavola rotonda organizzata a Shenzhen, dove ha sede il gruppo asiatico, in un momento delicato per il business dell’azienda, che proprio nei mesi che anticipano l’accensione dei network 5G sta vedendo diversi paesi rivolgersi ad altri fornitori per l’acquisto delle componenti da integrare nei network mobile di prossima generazione.
Huawei, parla il fondatore Ren Zhengfei
I timori, sollevati inizialmente dagli Stati Uniti e condivisi poi un po’ in tutto il mondo, riguardano la possibilità che le apparecchiature prodotte da Huawei possano essere impiegate dal governo cinese per attività di spionaggio internazionale. I sostenitori di questa tesi puntano il dito in primis verso il passato di Ren Zhengfei, ex ufficiale dell’Esercito Popolare di Liberazione (le forze armate del paese) e ritenuto vicino alle politiche di Pechino. Non rinnegando le proprie convinzioni, il diretto interessato sottolinea come non influiscano sull’attività del gruppo, respingendo al mittente qualsiasi possibile accusa.
Amo il mio paese e sostengo il Partito Comunista, ma non farò mai nulla che possa danneggiare il mondo. Non vedo alcuna stretta connessione tra le mie convinzioni politiche e i business di Huawei.
Stando a quanto riportato da Bloomberg, Ren Zhengfei ha dichiarato che non cederebbe mai informazioni riservate sui clienti di Huawei al governo centrale cinese, nemmeno in seguito a un’esplicita richiesta. Il clamore suscitato nell’ultimo periodo e le preoccupazioni manifestate un po’ ovunque non sarebbero che la conseguenza di un rapporto di certo non disteso tra le due superpotenze mondiali.
Huawei è solo un “seme di sesamo” nella battaglia commerciale tra la Cina e gli Stati Uniti.
Trump? Un “grande presidente”
Ren Zhengfei è anche il padre di Meng Wanzhou, CFO di Huawei che all’inizio di dicembre è stata arrestata in Canada e ora rischia l’estradizione negli Stati Uniti. L’accusa è di frode e di violazione delle sanzioni commerciali contro l’Iran. Nel suo intervento odierno a Shenzen sembra essersi rivolto al presidente Trump, spendendo parole di apprezzamento per l’operato alla Casa Bianca e invocando un suo intervento al fine di risolvere la questione che da ormai oltre un mese coinvolge la primogenita.
Trump è un grande presidente. Ha osato introdurre un taglio massiccio delle imposte di cui hanno beneficiato i business. Bisogna però trattare bene le aziende e i paesi così che possano investire negli Stati Uniti e il governo possa raccogliere abbastanza tasse.
Insomma, l’uomo più rappresentativo di Huawei (player numero uno nella fornitura di infrastrutture di rete e secondo produttore di smartphone dietro solo a Samsung) ci mette la faccia, con un intervento dai connotati fortemente diplomatici, il cui primo obiettivo è quello di smorzare i toni di una discussione che è andata via via facendosi sempre più accesa. Difficilmente, però, le sue parole saranno sufficienti per influenzare la posizione statunitense in merito alla fornitura di infrastrutture per il 5G così come quella dei paesi alleati.