Quando Steve Jobs tornò alla Apple, nel 1997, il compito che gli spettava non era facile. Undici anni dopo, la casa di Cupertino è al primo posto della classifica di Fortune delle aziende più rispettate negli USA : e il merito, inutile negarlo, è quasi tutto del suo leader indiscusso.
Jobs è un CEO in grado di trasformare un’azienda sull’orlo della bancarotta in una macchina per gli affari con 18 miliardi di dollari di liquidità e zero debiti . Un successo ottenuto razionalizzando l’offerta Apple, tagliando i ponti con il mercato enterprise – che ora sembra voler di nuovo accostare gradualmente – e puntando tutto su pochi prodotti in cui concentrare e distillare il meglio della creatività made in California .
Ma allo stesso tempo, è proprio la natura di Jobs a costituire un enorme punto di domanda sul futuro della sua azienda. Si tratta pur sempre dello stesso Steve che nel 2004 non rivelò a nessuno di essere in procinto di operarsi di tumore al pancreas; e oggi si scopre che passarono nove mesi dalla diagnosi all’intervento , nove mesi durante i quali Jobs tentò di seguire una dieta speciale per non doversi sottoporre all’operazione. Cosa sarebbe accaduto se quei nove mesi avessero peggiorato le sue condizioni?
La vita di Steve – insiste maliziosamente Fortune – è costellata di questi aneddoti al limite tra l’assoluta genialità e la totale sconsideratezza . Quando nacque la sua prima figlia, Lisa, dalla relazione con la sua ragazza dei tempi dell’università, Steve si rifiutò per due anni di riconoscere la paternità: arrivò persino a presentare in tribunale un documento che attestava la sua “incapacità di generare” a causa di una sterilità congenita. Un’affermazione smentita negli anni a venire, visto che oggi di figli Jobs ne ha quattro.
Celebri sono anche le sue sfuriate con i dipendenti, i suoi repentini cambi di idea. Non è raro che qualcuno esca in lacrime dall’ufficio di Jobs , che pare sia capace di annichilire ogni ostilità con la sua personalità “esuberante”. E sono altrettanto frequenti i suoi mutamenti di umore su questa o quella decisione: quello che è bianco il giorno dopo deve essere nero, ma non è detto che il giorno dopo ancora non torni bianco. E non è insolito neppure che un’idea proposta da qualcuno venga bocciata, per venire riciclata dopo qualche tempo come parto della mente di Steve.
Eppure, nonostante tutto, Apple funziona . E funziona perché, come dice Jean-Louis Gassée (in passato dirigente dell’azienda di Cupertino) “la democrazia non produce prodotti grandiosi: c’è bisogno di un tiranno competente”. Jobs, insomma, riuscirebbe a distillare da tutti il meglio, tirando la corda fino a quasi spezzarla: ma è indubbio che i milioni di iPod venduti, le quote di mercato sempre più ampie dei Mac e l’alone di successo che circonda il marchio della Mela siano la prova della sua competenza.
Ma è lo stesso carattere di Jobs a costituire una incognita sul futuro di Apple. Mentre il suo arcirivale Bill Gates è pronto a dedicarsi a tempo pieno alla filantropia, Steve non pensa minimamente di ritirarsi : da mesi ci si chiede chi potrebbe succedere al dio CEO più influente che ci sia, e il nome che ricorre più spesso è quello di Jonathan Ive , il celebrato designer che ha creato prodotti come l’iPod o il MacBook Air.
Chissà se Ive sarebbe in grado di garantire lo stesso carisma di Jobs, chissà se riuscirebbe a tener testa alle major della canzone e del cinema come fa Jobs. Chissà se invece una figura meno invadente come quella del designer britannico non permetterebbe ad Apple di evolversi in modo inaspettato, di mutare nuovamente pelle e genoma e trasformarsi ancora una volta in un’azienda diversa e con altri punti di forza.
Tutto questo oggi, alla vigilia dell’ennesima conferenza-show di Jobs a Cupertino, resta un mistero. Cosa accadrà domani? Quali annunci farà Steve? Cosa succederebbe se tra un mese la SEC decidesse di procedere per quella storiaccia delle stock option retrodatate ? Inutile, Steve Jobs o lo si ama o lo si odia: qualunque cosa faccia, qualunque cosa dica, i suoi fan resteranno con lui. E Fortune lo sa.
Luca Annunziata