Ricercatori dell’università di Dartmounth hanno sviluppato un software in grado di individuare le alterazioni di una foto .
Nel loro studio , pubblicato sulla rivista The Proceedings of the National Academy of Sciences , il professor Hany Farid e il dottorando Eric Kee hanno compilato una scala oggettiva per valutare quanto un’immagine sia stata artefatta, da 1 (ritocchi particolarmente piccoli) a 5 (drastici).
Il programma di fotoritocco Adobe Photoshop è uno dei più utilizzati in questo frangente, tanto che anche in italiano si usa il neologismo “photoshoppato” per indicare una foto artificiosamente modificata: una pratica altamente utilizzata anche dai fotografi di moda e di celebrità, che non temono di abusare degli strumenti di fotoritocco per offrire linee perfette, pelli levigate e totale assenza di occhiaie sulle pubblicità e sulle riviste patinate.
Una pratica che, tra l’altro, secondo i ricercatori di Darmounth può alterare l’immaginario collettivo, creando pressioni psicologiche sugli individui più facilmente influenzabili e pubblicità ingannevoli.
L’ American Medical Association , d’altronde, già incoraggia a non “alterare le fotografie in modo tale da promuovere aspettative non realistiche sull’immagine appropriata del proprio corpo”.
Diversi gruppi di legislatori francesi, britannici e norvegesi, inoltre, spingono per la trasparenza sui fotoritocchi. Nel Regno Unito , per esempio, due pubblicità di L’Oreal sono state bandite dall’ Advertising Standards Agency su richiesta della parlamentare Jo Swinson: le pubblicità di cosmetici Maybelline e Lancome, dal momento che avevano come protagoniste immagini di Julia Roberts e Chrisy Turlington digitalmente alterate, sono state considerate pubblicità ingannevole.
Claudio Tamburrino