Secondo un sito cinese anti-governativo, centinaia di lavoratori della Foxconn avrebbero occupato il tetto della fabbrica di Wuhan dell’azienda, minacciando di buttarsi di sotto se le promesse di un aumento salariare non fossero state mantenute.
È da tempo ormai che all’interno delle fabbriche vi è fermento: sulle condizioni di lavoro vige la segretezza ma a tale proposito giungono voci inquietanti , da aggiungere alla (scarsa) normativa in materia della Cina, all’assenza di sindacati e agli eclatanti casi di suicidi che hanno costretto Foxconn a montare delle reti di salvataggio fuori dalle finestre dei suoi edifici.
L’azienda che è diventata sinonimo dei mali di una delocalizzazione selvaggia e dello sfruttamento intensivo del lavoro dei dipendenti di paesi come la Cina, ha così visto crearsi al suo interno un fronte comune di lavoratori, addensatosi con le proteste per la decisione del management di spostare la produzione in altre zone della Cina o in altri paesi e spinto dalla volontà di ottenere un aumento di stipendio (teoricamente già promesso dalla dirigenza) e condizioni di lavoro migliori.
La protesta sarebbe sfociata, nella fabbrica di Wuhan, nell’ occupazione del tetto dell’edificio lo scorso 2 gennaio e nella minaccia di lanciarsi di sotto espressa da un numero di lavoratori compreso tra 100 e 300 , a seconda delle fonti che raccontano la notizia.
A questi lavoratori Foxconn sembra aver proposto una via di uscita: lasciare il proprio impiego godendo di una buonuscita (un mese di paga) o restare senza i promessi aumenti di stipendio. Secondo una delle fonti locali che racconta l’episodio, peraltro, una volta che i lavoratori hanno accettato di lasciare il tetto l’accordo sarebbe stato cambiato in modo tale che coloro che hanno accettato di licenziarsi non avrebbero ricevuto il compenso promesso.
La questione ha una rilevanza internazionale: se mediaticamente si rischia di legare la protesta dei lavoratori della fabbrica soltanto ad Apple e alla notizia sullo stipendio e premio produzione del CEO Tim Cook (molto superiore al simbolico dollaro che percepiva Steve Jobs), in quanto si appoggia per la produzione dei suoi device a Foxconn, Cupertino non è la sola a fare affidamento sulle catene di montaggio cinesi.
Tant’è che una fonte cinese afferma che nella sede protagonista dello sciopero si fabbricassero componenti per le Xbox di Microsoft, che ora rischia problemi di approvvigionamento. Redmond è stata costretta ad intervenire ribadendo il suo impegno sulle condizioni di lavoro degli impiegati dei suoi fornitori.
Claudio Tamburrino