Foxconn torna ad essere al centro delle proteste dei propri lavoratori e l’eco di questo scandalo giungono rapidamente fino in occidente. Se è vero che tali condizioni sono responsabilità dell’azienda e delle autorità orientali, al tempo stesso è dalle mani degli stessi lavoratori che provengono i dispositivi che acquistiamo quotidianamente con griffe di marchi statunitensi o europei.
Nuovo scandalo Foxconn
La nuova protesta è relativa alle condizioni in cui versa il lavoro di coloro i quali prestano il proprio servizio nell’assemblaggio dei device, che sarebbero stati rinchiusi in ostelli privi delle necessarie condizioni igieniche (fino a 30 persone nella stessa stanza, con bagni privi di acqua corrente). Se fino ad oggi tutto ciò era stato sottaciuto per la necessità di lavorare, a seguito dell’ennesimo caso di avvelenamento da cibo – 250 persone coinvolte con oltre 100 lavoratori ospedalizzati a seguito dell’accaduto – tacere non era più possibile: un impianto da 17 mila lavoratori nei pressi di Chennai (India meridionale) ha fermato le attività in segno di protesta, costringendo le autorità ad un’ispezione per la verifica delle condizioni in cui versano le condizioni di questi lavoratori.
In passato il mondo Foxconn era stato costellato di suicidi per lavoratori sottoposti ad eccessiva pressione presso gli stabilimenti cinesi: a seguito di quelle proteste le aziende occidentali non ne interruppero la collaborazione, ma promisero di ottenere garanzie circa il rispetto di requisiti minimi che a questo punto sembrano vacillare. Con ogni probabilità giungerà una versione edulcorata di quanto riscontrato durante i controlli governativi, ma ora sta alle aziende occidentali in collaborazione con Foxconn il prendere posizione. Questa volta di mezzo non ci sono le autorità cinesi, ma quelle indiane, ed il problema risulta quindi a maggior ragione incentrato su una azienda che ha fatto del lavoro uno strumento di profitto che l’occidente ha il dovere di rivalutare con maggior severità.