Foxconn ha comunicato la riduzione della forza lavoro “umana” impiegata in una delle sue fabbriche cinesi, portando il totale degli operai da 110.000 a 50.000. I restanti 60.000? Sono stati sostituiti dai robot, evidentemente molto più efficienti nel portare a termine compiti ripetitivi nell’assemblaggio e non solo.
Il colosso asiatico della produzione elettronica – fornitore tra gli altri di Apple e Samsung – dice di aver adottato i principi di ingegneria robotica e altre tecnologie di produzione innovative per sostituire gli operai in carne e ossa con le macchine automatizzate, così da permettere agli impiegati “sopravvissuti” al mega-licenziamento di concentrarsi sulla produzione ad alto valore aggiunto.
Foxconn non ha intenzione di sostituire completamente gli umani con i robot, almeno non per il momento, e il management ha assicurato di voler investire denaro nella formazione degli impiegati per trasferirli al controllo di qualità e alle altre fasi produttive dove l’apporto umano continua a essere fondamentale .
L’azienda cinese dice di non voler automatizzare al cento per cento la propria forza lavoro, ma il trend di “robotizzazione” è in fase avanzata di adozione sia presso Foxconn – che ci investe da anni – che nelle altre grandi catene produttive della Cina.
I robot e le altre tecnologie avanzate toglieranno il lavoro a milioni di esseri umani, hanno recentemente avvertito gli esperti presso il World Economic Forum di Davos, e certamente la questione non riguarda in via esclusiva le fabbriche cinesi: Apple potrebbe tornare a produrre i suoi gadget mobile in USA grazie ai robot, Adidas è pronta a fare scarpe torchiando gli automi in Germania e l’ex-CEO di McDonald’s preferirebbe sostituire gli “imbusta-patatine fritte” della catena di alimentazione di massa con bracci robotici dal costo di 35mila dollari cadauno piuttosto che vedere aumentato il salario minimo dei “carne-ossa” a 15 dollari l’ora.
Alfonso Maruccia