Solo qualche mese fa si era pronunciata in maniera positiva in merito ai progressi compiuti da Foxconn verso la piena aderenza agli standard che tutelano la vita dei lavoratori in Cina. Ora, Fair Labor Association ( FLA ), organizzazione non profit impegnata nella tutela dei diritti del lavoro, è finita sotto accusa per i suoi giudizi considerati infondati e superficiali.
A muovere la critica è l’ Economic Policy Institute ( EPI ) think tank specializzato nelle politiche economiche, con particolare riguardo per la condizione per i lavoratori con reddito medio e basso. Secondo EPI, la grande richiesta di iPhone 5 avrebbe sgretolato qualsiasi potenziale miglioramento nelle condizioni di lavoro delle fabbriche cinesi.
Secondo un documento redatto da FLA a seguito dell’ indagine avviata presso gli stabilimenti di Foxconn, quest’ultima è riuscita a migliorarsi in diversi ambiti: negli standard di sicurezza, nella rappresentanza sindacale, negli orari di lavoro. Un percorso compiuto per il 79 per cento dell’insieme, la cui verifica finale è stata fissata per la fine di luglio 2013. Una valutazione entusiasta che non convince l’istituto di ricerca di Washington , secondo cui le prospettive rosee che individuano una trasformazione sostanziale nelle condizioni di lavoro delle fabbriche Foxconn sono prive di fondamento.
A sostegno delle proprie tesi, il paper di EPI cita i report redatti dal gruppo di attivisti cinesi Students and Scholars Against Corporate Misbehaviour e gli stessi resoconti di FLA . I risultati positivi segnalati da quest’ultima, infatti, sarebbero l’esito di un’indagine condotta nel periodo di giugno e luglio 2012, mesi in cui il livello di produzione è inferiore alla media , condizioni che renderebbero più semplici le operazioni volte a mostrare progressi significativi per la vita in fabbrica: “Le evidenze suggeriscono che, anche se le pratiche virtuose prevalgono nel periodo esaminato da FLA, esse perdono di credibilità con l’intensificazione della produzione di iPhone 5”.
Una critica mirata che non sembra minare i piani espansivi della multinazionale taiwanese, che ha comunicato di voler installare i propri stabilimenti anche negli Stati Uniti e di essere disponibile a formare la forza lavoro d’Oltreoceano.
Cristina Sciannamblo