Nel mondo IT Foxconn è diventata sinonimo dei mali della delocalizzazione e in particolare delle condizioni lavorative cui i dipendenti sono sottoposti . E delle presunte responsabilità oggettive delle aziende straniere che ad essa si rivolgono: perché in paesi come la Cina la normativa in materia di tutela dei lavoratori non è particolarmente sviluppata, così come i sindacati che solo recentemente stanno per essere riconosciuti dal Governo.
Ma anche qui, a quanto pare tirando troppo la corda si possono scatenare problemi: dopo i suicidi che hanno attirato l’attenzione internazionale sulla fabbrica, secondo alcune fonti gli impiegati di Foxconn starebbero protestando contro la decisione del management di spostare la produzione in altre zone della Cina (se non in Bangladesh e Vietnam nel caso in cui Pechino approvi un salario minimo), nonché cercando di ottenere un aumento di stipendio (teoricamente già promessi dalla dirigenza) e condizioni di lavoro migliori: sei o settemila lavoratori avrebbero riempito la strada davanti ai cancelli della fabbrica, con il produttore di componenti elettronici che ha subito minacciato licenziamenti.
Oltre alle problematiche interne e alle voci che volevano una talpa coinvolta nel caso del diciassettenne in grado di fornire i case bianchi per iPhone 4, Foxconn dovrà presto vedersela anche con concorrenti internazionali: il miliardario Eike Batista sembrerebbe interessato a convincere Apple a produrre in Brasile abbandonando l’Asia, trovando posto nel suo nuovo centro di produzione a Porto do Açu
Claudio Tamburrino