La nuova proposta di legge che si occupa di sicurezza ma finisce per parlare di Internet sta proseguendo il suo iter legislativo in Francia. Non è stato un passaggio facile quello della legge sulla sicurezza interna denominata “LOPPSI2”: osteggiato sia dentro che fuori al Parlamento, alla fine il testo ha passato la prima votazione, quella alla Camera, con 312 voti contro 214, e attende ora il voto in Senato. Confermando i punti più controversi e l’intenzione del Governo di Sarkozy di voler premere sull’acceleratore.
LOPPSI, che sta per Loi d’Orientation et de Programmation pour la Sècuritè Intèrieure , contiene una serie di misure che, sotto il rassicurante cappello della sicurezza interna, spaziano dal coprifuoco alle 11 per i bambini con meno di 13 anni al budget della polizia, passando per pene addizionali per la contraffazione e la possibilità di installare sistema di videosorveglianza. All’interno di questo insieme di norme è dedicato un spazio non trascurabile alla disciplina della Rete, che idealmente va a completare il quadro che ora vede operare il meccanismo antipirateria ex post dei tre avvisi emessi dall’HADOPI.
Il dibattito parlamentare, che secondo alcuni osservatori ha mantenuto una costante “retorica della paura”, ha riguardato in particolare gli orrori della pedopornografia , ma quello è apparso a molti solo il pretesto per mettere insieme molte cose differenti.
Innanzitutto è stato istituito il reato di furto d’identità su Internet (comminata una pena detentiva fino ad un anno e 15mila euro d’ammenda, art. 222). Il testo della legge prevede inoltre la possibilità per la polizia di intercettare le connessioni nel corso delle indagini e soprattutto permette allo stato di ordinare agli ISP di bloccare specifici URL identificati con decreto ministeriale, di utilizzare trojan per monitorare l’utilizzo dei PC . Il tutto senza un meccanismo di revisione giuridica.
Il filtro è specificatamente designato per bloccare i contenuti pedopornografici, ma il Presidente Sarkozy ha in più occasioni sottolineato che si aspetta dagli ISP maggiore collaborazione nel controllo di Internet. E parlando di HADOPI ha spiegato che bisogna andare oltre il suo approccio repressivo, e “più ripuliamo automaticamente le connessioni e i server da tutte le fonti di pirateria, meno dobbiamo ricorrere a misure coercitive nei confronti degli Inernautes . Dobbiamo quindi senz’altro provare, senza ulteriori ritardi, meccanismi di filtro”.
Il meccanismo dei filtri è peraltro stato sperimentato dagli stessi parlamentari francesi che dal 20 gennaio hanno applicato ai loro computer un blocco per tutti i siti con contenuti pornografici, pedopornografici e “quei siti che rischiano di propagare determinati virus”.
In Francia il primo voto positivo non ha certo fermato i numerosi gruppi che si oppongono alla nuova proposta di legge : è nato anche un sito dedicato ad organizzare la protesta, LOPPSI , che spiega: “per porre limiti allo spazio libero che rappresenta Internet ne stanno assumendo il controllo. Ma come possono distruggere questa libertà senza trovare una feroce resistenza? Grazie alla pedofilia”. Quella della pedofilia, denunciano anche altri osservatori, assume i connotati di uno specchietto per le allodole: chi vuole delinquere non impiegherà molto ad accedere al medesimo materiale via VPN o schivando i filtri con altri metodi, mentre la maggior parte dei cittadini rimarrà avvinghiata nella rete, che in un Paese occidentale, spiegano, mai come con questa legge è stata stretta.
Dubbi consistenti circa l’opportunità della proposta di legge sono arrivati anche dall’Autorità francese per la protezione dei dati ( CNIL ) e dall’associazione dei servizi Internet comunitari (ASIC), che ha espresso la speranza che il testo al Senato venga modificato in modo da evitare di compromettere il “principio essenziale della neutralità degli intermediari”. Auspicando inoltre che un dispositivo di blocco simile sia considerato “esplicitamente una misura eccezionale e definitivamente limitato ai contenuti pedopornografici”.
Il principio della neutralità degli intermediari , tra l’altro, dovrebbe chiamare in causa la normativa europea ed in particolare la direttiva 98/48/CE che lo stabilisce. In base al principio di uniformazione delle normative nazionali, dunque, occorrerebbe (apparendo la norma del tutto specifica e vincolante) una notifica da parte del Governo di Sarkozy a Bruxelles, fatto che non è avvenuto, rendendo teoricamente inapplicabile la legge.
Critiche, d’altronde, sono giunte anche dagli osservatori stranieri . Der Spiegel , per esempio, la definisce apertamente “Grande Fratello d’Europa”, mentre The Register ha parlato di “prima nazione occidentale a far sembrare liberare l’Australia in tema di censura in Rete”.
Il paragone con l’Australia risulta d’altronde abbastanza naturale: il filtro imposto dal governo australiano, che ha stilato una lista nera di siti (inevitabilmente trapelata ), è stato da ultimo criticato da Google e Yahoo! che si sono uniti al coro dei dubbiosi. Le critiche dei due motori di ricerca affermano che le definizioni dei materiali rifiutati è troppo vaga, ma anche che sarebbe inutile nella protezione dei bambini: la gran parte dei materiali più pericolosi girerebbero nelle chatroom e via P2P e sarebbero quindi molto più difficili da filtrare. Senza contare – come sottolinea il direttore dell’ Australian Library and Information Association (ALIA) che “si rischia di bloccare informazioni legittime e avere conseguenze negative sugli accessi validi e sulle performance dell’infrastruttura”, nonché di creare un pericolo falso senso di sicurezza.
Insomma, l’esperienza australiana della strada che sta imboccando anche la Francia, non è giudicata né efficace per combattere la pedopornografia, né facile da applicare. E la protesta in Australia ha assunto anche forme più concrete: il gruppo che si fa chiamare Anonymous ha attaccato numerosi siti ufficiali del governo australiano, lasciandoli per breve periodo di tempo offline in segno di protesta, o subissandoli di email dal contenuto chiaramente classificato come inadatto, in un’operazione evocativamente chiamata “Titstorm”. Mentre l’opposizione alle misure di filtro portano nel dibattito alternative costruttive: programmi di educazione cybercivica alla sicurezza in Rete e maggior controllo da parte delle forze dell’ordine sui circuiti P2P dove circolano i materiali sicuramente più pericolosi.
Claudio Tamburrino