Condannato a pagare una multa di 3mila euro per aver pubblicato documenti governativi trovati consultando Google. La paradossale vicenda si è consumata in Francia, dove una corte di appello ha giudicato colpevole un blogger transalpino per la diffusione di informazioni riservate che, causa sbadataggine di qualche responsabile, erano facilmente raggiungibili con una
normalissima ricerca.
Questa la colpa dell’imprenditore Olivier Laurelli, noto in Rete con lo pseudonimo Bluetouff , proprietario della piccola società dedita alla sicurezza online Toonux e cofondatore del sito web informativo Reflets.info. Incuriosito, ha scaricato un file da 7,7 GB contenente documenti dell’Agenzia nazionale francese per la sicurezza in campo alimentare, ambientale e lavorativo (ANSES) destinati a restare privati.
Nonostante non abbia commesso nessun reato, Laurelli è stato citato in giudizio dal governo e ha dovuto sostenere un processo penale, risolto con piena assoluzione. La sorpresa però si è materializzata più tardi, quando gli è stata recapitata la multa di 3mila euro stabilita dalla corte di appello, che lo ha reso il responsabile della ricerca su Google più costosa della storia.
Per Laurelli la decisione di avviare un procedimento penale deriva dall’aver mascherato il suo indirizzo IP, sostituito con uno panamense assegnato dai servizi di Toonux. In fase di dibattimento Bluetouff ha riconosciuto il mascheramento, ma ha sottolineato come non ci fosse nessuna esplicita indicazione circa la necessità di autorizzazioni per accedere al documento incriminato. Ha così convinto il giudice sul suo operato, ma anche l’ANSES, che non ha proseguito l’azione legale.
Chi non si è arresa è stata la direzione centrale dell’intelligence nazionale (DCRI), che ha fatto appello per punire Blouetouff, riconosciuto colpevole poiché consapevole che la conservazione del documento fosse irregolare, per aver effettuato una copia del documento e per averlo diffuso all’insaputa e contro la volontà del proprietario.
La sanzione ha allarmato i media francesi che, visto il precedente, hanno messo in guardia circa i potenziali pericoli in cui potrebbe incappare qualsiasi cittadino, che potrà esser definito un cracker soltanto per aver effettuato delle ricerche sul più popolare motore di ricerca, e ancor più i giornalisti, condannabili di pubblicare documenti nel nome della libera circolazione dell’informazione. Un quadro preoccupante, disegnato da protagonisti non propriamente competenti in materia: come riportato da diversi organi di stampa, il presidente della corte di appello non conosceva Google né termini usuali come Login, mentre il procuratore è riuscito a far di meglio dichiarando di “non aver minimamente compreso la metà delle parole ascoltate durante il dibattimento”.
Alessio Caprodossi