Roma – La click fraud è diventata una variabile economica per il Web. Greg Boser, consulente marketing nonché fondatore di WebGuerrilla , ha svelato a Business Week che l’avvento delle applicazioni che simulano i click sugli annunci pubblicitari testuali stanno alterando le economie di rete.
Con la sua società, e in accordo con alcuni clienti, Boser ha iniziato ad utilizzare un “clickbot” che emula i click degli utenti. Una sorta di protesta online che dimostra quanto sia facile frodare il sistema “pay-per-click”. Già, perché è questa la chiave del problema: i click fasulli costringono gli inserzionisti a pagare cifre a volte considerevoli per un traffico inesistente . Se si considera l’importanza che sistemi pubblicitari come Google AdWords , basati appunto su annunci testuali e pagamento per ogni click effettuato su di essi, è facile comprendere la portata di una frode sui click su larga scala.
E non si tratta certo di un sentore né di leggende metropolitane, ma di una questione spinosa che sta iniziando a pungere proprio colossi come Google – denunciata già per questi problemi da Click Defense e Advanced Internet Technologies .
La pratica è diffusa, ma al momento è difficile delinearne la dimensione. “Nessuno ha idea di come vadano le cose. Per questo abbiamo intenzione, con i miei clienti, di vedere come i motori di ricerca abbiano intenzione di proteggere gli inserzionisti”, ha dichiarato Boser.
Alcuni analisti presumono che il click fraud “produca” il 20% del traffico online, e pesi economicamente per almeno un miliardo di dollari . Fair Isaac ( FIC ), che ha analizzato l’85% delle transazioni statunitensi operate con carta di credito, ha annunciato che durante la prossima Search Engine Strategies Conference presenterà il suo progetto di ricerca riguardante il “click fraud”. La società di consulenza inviterà le aziende a fornire i dati sul traffico sospetto. “In base ai nostri primi rilevamenti le perdite correlate a questo fenomeno ammontano a un miliardo di dollari l’anno, molto di più di quanto avvenga con le frodi legate alle carte di credito. Il tutto è certamente degno della nostra attenzione”, ha dichiarato Kandathil Jacob, direttore product marketing di Fair Isaac.
Le imprese concordano sul fatto che si tratti un problema “serio”, che secondo Search Engine Marketing Professional Organization ( SEMPO ) ha colpito il 16% degli inserzionisti – triplicando di fatto, rispetto al 2005, il numero dei casi. E tutto questo ha contribuito alle analisi di Standard & Poor’s , che nelle scorse settimane ha rivalutato al ribasso il rating di affidabilità delle azioni Google. Gli esperti della società di rilevazione, infatti, si dicono certi che il click fraud sia un pericolo, e che in futuro probabilmente scoppierà un caso destinato a scuotere l’intero settore. “Nessuno sa quale sia la percentuale di click fraud che riguarda Google, e neanche quali siano gli strumenti che vengono adoperati per contrastare il fenomeno”, hanno spiegato.
Gli esperti di sicurezza, però, concordano sul fatto che filtrare il traffico fantasma sia piuttosto semplice, dato che è possibile identificare la provenienza. “Siamo convinti che il 99% del traffico legittimo non ha motivo di appoggiarsi a proxy anonimi. Per scovare poi i truffatori basta controllare a chi sono registrati i server”, ha dichiarato Dmitri Eroshenko, fondatore della società di consulenza anti-click fraud Click Labs.
La risoluzione del problema diventa assai più ardua se, come sarebbe già accaduto, un cracker realizza un network di clickbot . In questo caso un worm, capace di infettare migliaia di PC, li rende di fatto “autostrade” per generare traffico solo in apparenza legittimo.
“Il monitoraggio del traffico è un’attività che svolgiamo quotidianamente”, ha dichiarato Shuman Ghosemajumder, responsabile del team Google che si occupa del click fraud. L’applicazione in loro possesso, sostiene l’azienda, permette di filtrare le attività che vengono considerate invalide, “salvando” in un certo senso gli stessi inserzionisti da pratiche illegali. “Il click fraud è un problema serio ma certamente affrontabile. E’ una sfida, ed è per questo che abbiamo implementato un sistema ad hoc che cerchiamo di migliorare e perfezionare costantemente”, ha dichiarato John Slade, responsabile del product management di Yahoo.
Gli intenti di Google e Yahoo, però, non sembrano convincere tutti. “Il sistema pay-per-click non è in grado di opporsi a questa pratica, anzi la favorisce. Non voglio addossare tutta la colpa ai motori di ricerca, ma vi è una mancanza di trasparenza… Quello di cui abbiamo bisogno è di un’organizzazione terza che permetta alle imprese di prendere delle decisioni al riguardo collettivamente”, ha dichiarato Stephen Malouf, legale rappresentante della Lanès , attualmente coinvolta in una class action contro Google per click fraud.
Dario d’Elia