Sarà celebrato poco per volta, forse nessuno ne darà triste notizia ancora per qualche tempo, ma al momento al capezzale non si vedono lacrime. Google+, del resto, non è mai stato troppo amato: lo è stato per pochi, forse per poco tempo, sicuramente mai al punto da ambire anche solo lontanamente a raggiungere il proprio obiettivo. E l’obiettivo era altisonante: entrare nel gotha dei social network, laddove Facebook regna e Twitter insegue. Laddove G+ non c’è stato mai, se non con la forza bruta dei numeri ereditati dalla galassia Google.
Google + è un progetto nato all’ombra del gigante, e sulle spalle del gigante non ci è mai salito. Il fatto che l’account fosse condiviso rispetto a Gmail ed altre proprietà del gruppo, ha fatto sì che per qualche tempo Google potesse sostenere che il numero di utenti fosse alto, e in aumento. Ma era una sorta di alchimia, e le pietre in realtà son mai diventate oro.
Non che non ci fosse vita, sia chiaro. Il 90% delle visite, però, durava soltanto pochi secondi (non certo uno standard da social network), mentre il restante 10% era attratto dalle riviste che alcuni network hanno prodotto e animato negli anni. Poca roba, piccole nicchie, nessuna capacità di scalare a dimensione nuova. E soprattutto nessun aggiornamento: Google+ è rimasto uguale a sé stesso e negli anni (numeri alla mano) son stati più i cambiamenti di logo che non le features incluse nel servizio.
Nemmeno Google ha mai creduto troppo in G+ e (dichiarazioni di facciata a parte), non ha mai fatto troppo per sostenerne la crescita e il ruolo. Scelte strategiche, forse un modo per dividersi i compiti con Facebook evitando vicendevolmente di mettere piede nel mercato altrui: rispetto a distanza, evitando una concorrenza diretta. Ogni lettura postuma è in ogni caso inutile, parole formali che si recitano in casi simili.
Quel che più fa pensare è la scelta di Google di fronte a quanto successo in queste ore: nessuna reazione per tentare di tenere in vita G+, nessuno sforzo per dribblare l’ostacolo e rilanciare il social network. Google, anzi, lo spegne. Rimarrà in vita per utenze enterprise (sicuramente non molte, sicuramente per non molto tempo), dopodiché potrà avviarsi a diventare semplice ramo secco. Il contenitore di identità che Google voleva costruire dovrà avere una dimensione meno tangibile e più orientata alla gestione dei dati tra i diversi servizi: tutto fuorché un social network insomma, e con la nuova spada di Damocle delle normative sulla privacy.
Il funerale di Google+ inizia oggi. Difficilmente giungeranno ripensamenti, anche se Google avrebbe tutta la forza ed i capitali per poter ritentare l’avventura. Peccato, vien da dire: Facebook avrebbe potuto avere un alter-ego, così come Google Search meriterebbe un’alternativa. Invece nel mercato globale tutto si riduce ad un oligopolio nel quale un attore dominante lascia poco spazio a chi insegue e praticamente nulla a chi viene in terza fascia. Per Google era forse questa l’occasione giusta per rottamare quel che non ha mai funzionato, dimenticare quel che non è riuscito a costruire, cancellare quel che non è riuscito a dominare.
RIP.