Furti di identità, l'antidroga può

Furti di identità, l'antidroga può

La DEA aveva approfittato dell'identità di una donna arrestata per creare un profilo Facebook che facesse da esca per i criminali. Il social network aveva disapprovato, la donna aveva denunciato: il caso si è chiuso con un accordo
La DEA aveva approfittato dell'identità di una donna arrestata per creare un profilo Facebook che facesse da esca per i criminali. Il social network aveva disapprovato, la donna aveva denunciato: il caso si è chiuso con un accordo

La legge di alcuni paesi punisce i furti di identità, Facebook non ammette che i propri utenti si presentino sotto mentite spoglie, ma le autorità statunitensi possono lecitamente appropriarsi delle fattezze di individui reali, a fin di bene.

Si è chiuso il caso sollevato nei mesi scorsi da tale Sondra Arquiett: la donna aveva denunciato il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti per le attività condotte dagli agenti della Drug Enforcement Agency (DEA), che dopo il sequestro del suo telefonino nel corso di indagini che l’avevano coinvolta, nel 2010 avevano assunto la sua identità. L’antidroga aveva creato un profilo Facebook con le sue generalità, lo aveva reso più credibile disseminando foto scollacciate a nome della donna, con l’obiettivo di individuare le relazioni che si intessevano nell’ambiente di spaccio in cui Arquiett operava.

La donna pretendeva un risarcimento di almeno 250mila dollari, per compensare le violazioni della privacy commesse dalla DEA nei suoi confronti e per ripagarla dei pericoli a cui è stata esposta, a rischio di essere riconosciuta come una collaboratrice della giustizia. Anche Facebook aveva preso posizione dopo la chiusura dell’account denunciando da parte dell’antidroga una “violazione intenzionale e grave delle condizioni d’uso”.

Il caso è ora stato archiviato con un accordo stragiudiziale che ha permesso alle autorità statunitensi di non dover ammettere di aver commesso alcun tipo di azione illegale: “L’accordo dimostra che il governo è attento a rispettare i propri impegni nell’assicurare che i diritti di terze parti non vengano violati nel corso dei propri tentativi di assicurare i criminali alla giustizia”, ha commentato il procuratore che ha rappresentato la DEA nel contanzioso. I 134mila dollari riconosciuti ad Arquiett, in sostanza, non appaiono che una compensazione per aver desistito dal combattere per un caso che avrebbe potuto suscitare un ampio dibattito e una ridefinizione della giurisprudenza, anche alla luce delle numerose e sfaccettate identità che le autorità sogliono impersonare come copertura.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
23 gen 2015
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