Garante Privacy: allarme sulle piattaforme online predatorie

Garante Privacy, allarme capitalismo estrattivo

Il Garante per la Protezione dei Dati Personali denuncia i gravi pericoli sociali e geopolitici dell'attitudine predatoria delle piattaforme online.
Garante Privacy, allarme capitalismo estrattivo
Il Garante per la Protezione dei Dati Personali denuncia i gravi pericoli sociali e geopolitici dell'attitudine predatoria delle piattaforme online.

Pasquale Stanzione, Presidente dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, ha presentato in giornata la relazione relativa all’attività annuale 2020 e ha puntato chiaramente il dito contro un fenomeno che vede sempre più centrale nell’attività di tutela della privacy. Al centro del problema v’è infatti il cosiddetto “capitalismo estrattivo“, ossia l’attitudine predatoria di piattaforme sempre più assetate di dati “liberamente attinti come fossero res nullius“.

Capitalismo estrattivo vs autodeterminazione informativa

Identificato il problema, servita la soluzione: l’autodeterminazione informativa:

L’autodeterminazione informativa è, infatti, il necessario presupposto di scelte libere e, appunto, consapevoli, in un contesto in cui servizi apparentemente gratuiti sono invece pagati al caro prezzo dei nostri dati e, quindi, della nostra libertà

In questo passaggio del discorso di Stanzione c’è il punto focale della relazione poiché contiene la chiave di lettura di quella che è una attività di tutela troppe volte vista come un orpello, un fastidioso ostacolo al fluire delle pratiche di Stato e cittadini (quante volte è stato ripetuto nelle ultime settimane). Ma l’assenza di una presa di coscienza sul tema rischia di portare tutti su un crinale pericoloso perché in ballo non c’è solo denaro: c’è libertà.

Da un lato, infatti, la zero price economy ha reso prassi ordinaria lo schema negoziale “servizi contro dati”; dall’altro, riconoscere la possibilità della remunerazione del consenso rischia di determinare una rifeudalizzazione dei rapporti sociali, ammettendo che si possa pagare con i propri dati e, quindi, con la propria libertà.

E aggiunge, in ottica europea:

Se “code is law” è perché il digitale esprime un nuovo paradigma di senso, un nuovo ordine antropologico e simbolico che va coniugato con il sistema, anzitutto di valori, proprio del rule of law cui s’ispira la costruzione europea. E proprio sul governo antropocentrico del digitale l’Unione europea sta promuovendo – adesso anche con lo schema di regolamento citato – uno sviluppo sostenibile dell’innovazione, che la renda funzionale al progresso sociale.

Il paradosso si consuma nel fatto che la privacy è pertanto sempre di meno una questione privata, ma in quanto questione sociale (e geopolitica) tende a non essere compresa nella sua reale dimensione. La consapevolezza offre conoscenza e la conoscenza abilita la proporzionalità nei giudizi.

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Pubblicato il
2 lug 2021
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