Stando a quanto deciso dall’Investigatory Powers Tribunal (IPT), le spie di GCHQ hanno completa facoltà di hacking, cracking e intercettazione ovunque e comunque, una sorta di “super-potere” del tecncontrollo che risulta perfettamente legale ed è destinato a rafforzarsi ulteriormente con l’arrivo della famigerata legge nota come Investigatory Powers Bill (IPB).
Il caso era stato aperto dagli attivisti Privacy International assieme agli ISP britannici , e alcune delle sessioni davanti ai giudici dell’IPT si sono svolte a porte chiuse per motivi di “sicurezza nazionale”; come evidenziato dall’organizzazione, un primo risultato concreto è l’ammissione, da parte di GCHQ, di adottare tecniche di compromissione della sicurezza degli utenti qualora l’agenzia lo reputi opportuno.
In precedenza GCHQ non aveva smentito né confermato le modalità di azione nell’ambito del tecnocontrollo sul suolo britannico e altrove, mentre ora si sa che l’agenzia ha – tra le altre cose – sfruttato il materiale ottenuto tramite hacking per realizzare il 20 per cento dei suoi rapporti.
Più in dettaglio, l’hacking di GCHQ consiste nell’installazione di malware, nell’uso di microfono e videocamera di un cellulare da remoto, nel tracciamento dei sospetti tramite segnale GPS e altro ancora; le accuse di cracking contro i software antivirali mosse nei confronti di GCHQ sono quindi tutto fuorché campate per aria.
L’IPT ha però stabilito che le azioni dell’agenzia britannica sono perfettamente legali perché GCHQ è dotata di un codice di condotta autoimposto che garantirebbe la legittimità dell’azione degli spioni di Sua Maestà. Questi poteri sarebbero sarebbe convalidati, e anzi rafforzati, con l’introduzione delle nuove norme della legge IPB.
Ovviamente Privacy International (e gli ISP che avevano chiamato in causa i metodi di GCHQ) non è soddisfatta di come siano andate le cose, e l’organizzazione promette di continuare a mettere i bastoni fra le ruote alla succursale britannica della NSA anche in futuro.
Alfonso Maruccia