La Commissione Europea ha pubblicato i primi risultati dell’indagine settoriale sul geoblocking , una pratica di gestione separata dei singoli mercati europei potenzialmente in contrasto con le regole sulla concorrenza e con gli obiettivi del mercato unico digitale europeo .
Prendendo in considerazione 1.400 risposte inviate da altrettanti “dettaglianti e fornitori” di contenuti digitali sparsi tra i 28 stati membri della UE, l’indagine della Commissione ha stabilito che le pratiche di geoblocking sono “comuni e diffuse”.
Nel 68 per cento dei casi, i fornitori di contenuti hanno confermato di attuare pratiche di blocco all’accesso ai suddetti contenuti all’interno di un mercato, quello europeo appunto, che dovrebbe essere “comune” per definizione.
I motivi del blocco all’accesso? Nel 59 per cento dei casi i servizi di rete hanno confermato di essere stati costretti dai fornitori primari dei contenuti, e neanche a dirlo tra i contenuti più bloccati sono presenti fiction televisive (74 per cento), film (66 per cento) ed eventi sportivi (63 per cento).
Anche se si tratta solo di risultati preliminari di un’indagine ancora in corso, dalle autorità di Bruxelles arriva la conferma del fatto che qualcosa di problematico sul fronte antitrust potrebbe esserci: quando il geoblocking deriva da un accordo commerciale, dicono dalla UE, è responsabilità della Commissione osservare più da vicino la questione per valutare l’eventuale presenza di un comportamento che potrebbe ostacolare la concorrenza.
Alfonso Maruccia