La bagarre scatenata dalla scoperta del file conservato sui dispositivi mobile Apple e contenente tutte le posizioni (longitudine e latitudine) raggiunte non sembra placarsi e arriva anzi a spingere le autorità a pensare a indagini sull’accaduto . E ora qualcuno parla di pedinamenti via geolocalizzazione anche per altri dispositivi mobile, e della conservazione dei dati pari ad un anno di movimenti come di un bug che presto verrà corretto.
La pratica di raccolta dati sembra risalire all’ aggiornamento di di giugno 2010, così come la conseguente modifica delle condizioni d’uso dei device Apple con l’aggiunta di una postilla proprio sulla possibilità da parte di Cupertino di raccogliere dati di geolocalizzazione (in forma anonima); inoltre l’esistenza del file stesso era nota agli addetti ai lavori da tempo. Tuttavia la pubblicità data al caso, arrivata anche sui giornali generalisti grazie alle paure e ai timori a cui viene associata, ha fatto allargare il caso e dopo l’ azione dell’associazione dei consumatori italiana ADOC diverse autorità europee (compresa quella italiana) hanno detto di voler investigare per comprendere se è ipotizzabile la violazione delle normative sulla privacy .
La paura per la propria riservatezza e la tutela dei propri dati è d’altronde un problema sentito dagli utenti, come dimostra per esempio uno studio Nielsen sull’argomento. E di conseguenza si muovono le istituzioni.
Le prime ad attivarsi saranno l’ Agenzia bavarese per la protezione dei dati . Anche quella francese, la Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL), starebbe verificando quanto detto dai ricercatori statunitensi Alasdair Allan e Pete Warren e se tali dati conservati vengono o meno passati ad Apple e, nel caso, in quale forma: “Se vengono solo conservati – spiega Yann Padova, segretario generale di CNIL – si tratta di un semplice caso di mancata richiesta di autorizzazione, se invece sono accessibili da Apple è una questione ben più seria”.
Negli Stati Uniti, dopo il senatore Al Franken un altro congressman , stavolta il repubblicano Edward J. Markey, punta il dito contro Apple e chiede a Steve Jobs di chiarire la situazione “entro quindici giorni lavorativi”.
Markey si era già occupato di questioni di privacy online e già a giugno scorso aveva scritto a Apple ricevendo una lunga lettera in cui venivano spiegate le politiche di Cupertino in materia di raccolta dati geolocalizzati con l’aggiornamento a iOS 4 e le nuove condizioni d’uso. Nel frattempo le autorità del New Jersey hanno aperto un’indagine sull’utilizzo dei dati da parte delle applicazioni degli smartphone.
Oltretutto ormai non è più una polemica legata esplusivamente ad Apple e sembra anzi aver aperto un vaso di Pandora difficile da richiudere: secondo Magnus Eriksson anche altri dispositivi , come alcuni di quelli che funzionano su Android OS conservano questo tipo di dati, e addirittura secondo altri ricercatori “virtualmente tutti i dispositivi Android” inviano questo tipo di coordinate a Google. Tra questi un dispositivo Android HTC che, secondo l’ex hacker che si occupa di sicurezza Samy Kamkar, raccoglierebbe ogni pochi secondi dati sulla propria posizione, sulla potenza della rete WiFi a cui eventualmente ci si è collegati e l’identificativo del dispositivo utilizzato, inviandoli a Google molte volte ogni ora. Se ciò fosse vero Google sarebbe destinata ad affrontare nuove accuse sulla falsa riga di quelle arrivate per la raccolta dati a strascico effettuata come le macchine attive sul territorio per la mappatura di Street View.
In generale, poi, i dati di geolocalizzazione dimostrano di aver valore sia per l’advertising, sia per i servizi location based , sia per le indagini delle forze dell’ordine .
Anche se la liceità della pratica d’ispezione dei cellulari di un sospetto senza mandato è ancora in dubbio , i dati di geolocalizzazione estrapolati dai dispositivi mobile che interagiscono con reti WiFi e celle telefoniche sono già utilizzati dalla scienza forense e dalle forze dell’ordine, e a questo scopo i prodotti software sviluppati per il commercio sono numerosi e sono in grado di fornire una prova certa sulla posizione di un dispositivo (e dell’utente che eventualmente lo sta usando per una chiamata) in un momento preciso.
In ogni caso la situazione non sembra semplice da sbrogliare. Se il problema e la differenza del file Apple rispetto ai concorrenti è nella finestra di cronologia lasciata aperta (che arriva ad un arco temporale superiore all’anno), John Gruber di Daring Fireball afferma che tutta la situazione non è altro che la conseguenza di un bug : gli sviluppatori Apple nel provvedere a costituire il file con le posizioni geolocalizzate necessarie alle app che le utilizzano hanno dimenticato di porre il limite di tempo alla conservazione che sarebbe dovuto essere di pochi giorni. Con il prossimo aggiornamento software, probabilmente, dovrebbe essere corretto.
Claudio Tamburrino