Persino le forze dell’ordine nicchiano ed esitano: i trojan di stato, gli strumenti di computer forensics che la Germania vorrebbe affidare alla polizia come strumento di indagine, rischiano di violare la Costituzione e il diritto alla privacy dei cittadini.
Sono almeno due anni che le autorità federali accarezzano l’idea di insinuare in una legge antiterrorismo una nuova arma a disposizione delle forze dell’ordine: si tratterebbe di strumenti di indagine capaci di infiltrarsi nei computer dei sospetti per monitorarne le attività e eseguire perquisizioni a distanza . L’ipotesi di impugnare il malware di stato era stata ventilata in primo luogo nel lander del Nord-Reno Westfalia. L’Alta Corte federale di Germania aveva però imposto uno stop al provvedimento che aveva raccolto consensi anche presso il ministro degli Interni Wolfgang Schauble: il cracking antiterrorismo si sarebbe configurato non come un’intercettazione ma come una perquisizione vera e propria , e quindi avrebbe dovuto essere condotta alla presenza dell’indagato, affinché non venissero violati i suoi diritti. Il ministero non aveva ceduto all’intimazione: la bozza di un provvedimento per introdurre un software per l’investigazione forense capace di schivare i moniti dell’Alta Corte era stata diffusa dalla stampa tedesca.
Fervevano le polemiche e le apprensioni da parte dei cittadini e la polizia federale si era espressa per rasserenare la società civile: aveva giustificato con l’esigenza di maggiore sicurezza l’introduzione di strumenti di indagine capaci di incunearsi nei computer di coloro che costituiscono una minaccia per lo stato; aveva temperato le preoccupazioni dei cittadini spiegando che le ispezioni online sarebbero state brandite con parsimonia. La Corte Costituzionale tedesca non era però rimasta indifferente : per procedere alla disseminazione dei trojan di stato e alle indagini sulla macchina di un inconsapevole cittadino, le forze dell’ordine avrebbero dovuto ottenere un mandato da parte di un magistrato, dimostrando l’effettiva concretezza della minaccia.
La Baviera ha continuato a battere la strada dell’intercettazione, ricorrendo ad ogni mezzo per contenere critiche e inopportune fughe di notizie. Le autorità federali non sono da meno: la scorsa settimana il Bundestag ha dato il via libera ad una legge che consegna alla Bundeskriminalamt , la polizia federale tedesca, ampi poteri di sorveglianza. Se la legge dovesse entrare in vigore, la BKA potrebbe infiltrarsi negli hard disk dei sospetti, maneggiare strumenti di intercettazione e di tracciamento, dragare i dati ottenuti da aziende e istituzioni alla ricerca di prove. Il tutto senza il mandato emesso da un magistrato : se l’urgenza della situazione dovesse richiederlo, le forze di polizia potrebbero procedere senza l’intervento del giudice, a patto che l’autorizzazione giunga nei tre giorni successivi l’avvio delle operazioni.
Ma le forze di polizia sembrano spaventate dall’idea armeggiare con il potere che si potrebbero ritrovare fra le mani: tre sindacati che rappresentano le forze dell’ordine chiedono emendamenti , chiedono di sottoporre la legge ad un vaglio di costituzionalità, definiscono la legge “una soluzione da due soldi” con cui la BKA non è ancora pronta a confrontarsi. La polizia federale chiede di non essere investita della responsabilità di decidere se calpestare il diritto alla privacy di un cittadino senza la mediazione di un magistrato.
Anche i rappresentanti dei cittadini presso il Bundesrat si dicono cauti nei confronti della legge, che potrebbe di nuovo essere esaminata dalla Corte Costituzionale tedesca. A non avere dubbi è il ministro degli Interni Schauble: la legge avrebbe l’unico neo di arrivare con troppo ritardo. Il ministro placa coloro che descrivono la BKA riformata come una superpolizia dotata di poteri di cui sarebbe facile abusare: “Non hanno capito che, in linea di principio, la BKA non ha più autorità di quelle che hanno da 50 anni le forze di polizia”. “Sappiamo perfettamente cosa permette e cosa non permette la Costituzione – contrattacca Schauble – e troviamo che questo ritardo sia imbarazzante”.
Gaia Bottà