La Germania era uno dei pochi paesi europei che fino a questo momento aveva interpretato la direttiva 2001/29 sul diritto d’autore in senso restrittivo, e nel complesso bilanciamento tra la protezione dei diritti d’autore online e la libertà di informazione e di espressione dei cittadini della Rete non aveva mai affidato ai fornitori di connettività un ruolo attivo nella repressione delle violazioni del copyright. La giustizia tedesca ha decretato che ora sia il momento di cambiare, a certe condizioni.
Due decisioni sono state emesse dalla Bundesgerichtshof , il corrispettivo tedesco della Corte di Cassazione italiana, e pongono fine a due contenziosi aperti per due diversi casus belli , ma accomunati dall’intento dell’industria del copyright di reprimere le violazioni coinvolgendo i fornitori di connettività.
Il primo caso, sollevato dalla collecting society tedesca GEMA, era stato aperto contro l’operatore Deutsche Telekom: sette anni fa i detentori dei diritti avevano ritenuto che il sito 3DL.am , raccoglitore di link a opere musicali ospitate altrove, violasse il diritto d’autore. GEMA aveva tentato di rintracciare gli operatori del sito per confrontarsi con loro di fronte alla giustizia, ma il tentativo non era andato a buon fine: si era dunque rivolta alla giustizia per chiedere l’intervento dei fornitori di connettività. La collecting society si era però scontrata contro il diniego di Deutsche Telekom, che difendeva la propria neutralità e il proprio ruolo di mero fornitore di accesso alla Rete.
Il secondo contenzioso, analogo, era invece stato aperto da Universal, Sony e Warner Music nei confronti di O2 Deutschland, per lo stesso motivo: in quel caso, oggetto del contendere era un altro raccoglitore di link, goldesel.to . Anche in quel caso il fornitore di connettività aveva rifiutato di collaborare, e allo stesso modo i tribunali avevano riconosciuto all’ISP di non avere alcuna responsabilità nelle violazioni perpetrate degli operatori del sito e dagli utenti che vi facessero ricorso abusando del diritto d’autore.
Di appello in appello, i due casi hanno raggiunto i giudici della Corte di Cassazione tedesca, e sono stati entrambi respinti . Ma i detentori dei diritti ritengono in ogni caso di poter cantare vittoria : la giustizia tedesca, alla luce dalla decisione della corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Telekabel, ha ammesso per la prima volta la possibilità di imporre ai fornitori di connettività di far calare dei filtri sulla rete per scoraggiare la pirateria. I presupposti, però, devono essere diversi da quelli sulla base dei quali i due casi sono stati sollevati.
Le istanze di GEMA e delle major non possono essere accolte perché non sono supportate dalla dimostrazione che i detentori dei diritti abbiano fatto tutto il possibile per identificare i responsabili della violazioni e confrontarsi con loro di fronte ai tribunali, o per coinvolgere i fornitori di hosting dei siti in questione per arginare le attività illegali.
All’indomani della decisione della Bundesgerichtshof , però non è chiaro cosa possa concretamente cambiare: i detentori dei diritti in Germania, proprio perché è sempre stata negata loro la comodità di coinvolgere i fornitori di connettività, hanno ottenuto dei sequestri con la collaborazione delle forze dell’ordine come nel rumoroso caso Kino.to e hanno da sempre avanzato pretese di collaborazione nei confronti delle piattaforme online (celebre il caso che ha portato RapidShare alla chiusura , logorato dall’ annoso confronto con GEMA). Ma come sarà possibile per loro dimostrare in futuro di aver dispiegato tutte le risorse a loro disposizione, prima di chiamare in causa i fornitori di connettività?
Altro aspetto controverso delle sentenze della suprema corte, che probabilmente si potrà chiarire solo nel momento in cui le decisioni verranno pubblicate insieme alle loro motivazioni, è quello correlato alla proporzionalità delle eventuali inibizioni: apparentemente i giudici avrebbero interpretato la decisione Telekabel che prescriveva inibizioni “rigorosamente mirate” ritenendo poco rilevante la presenza di contenuti legali sui siti in oggetto, poiché il blocco degli accessi ha in ogni caso lo scopo di contenere la diffusione di masse di opere condivise illegalmente. Poiché la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea non entrava nello specifico nemmeno nel delineare i parametri dell’ efficacia dei filtri ma disponeva che le misure di inibizione avessero “l’effetto di impedire o, almeno, di rendere difficilmente realizzabili le consultazioni non autorizzate dei materiali protetti e di scoraggiare seriamente gli utenti di Internet”, la Bundesgerichtshof ritiene irrilevante che i filtri possano facilmente essere aggirati e che i siti che dovrebbero essere resi irraggiungibili abbiano vita facile nel transitare di dominio in dominio.
Gaia Bottà