Alla fine, il Parlamento tedesco ha detto sì. Via libera alla lista nera di siti che contengono pedopornografia . Hanno ottenuto quello che volevano i due principali partiti tedeschi (SPD e CDU) che affideranno alla polizia federale il compito di stilare la lista sempre aggiornata di siti che ospitino testimonianze dell’abuso sui minori. Un insieme di domini internet ed indirizzi IP che dovranno essere bloccati dagli ISP e trasformati in un evidente e minaccioso segnale rosso di Stop .
La previsione di legge aveva precedentemente suscitato le ire di provider ed attivisti contro la censura. Il governo non poteva pretendere la tracciabilità degli utenti per eventuali processi. Sarebbero, infatti, risultate punibili anche persone capitate per sbaglio tra le maglie dei “siti neri”, magari reindirizzate da qualche cracker.
Sebbene abbia ceduto su questo punto, la politica tedesca ha continuato con decisione sulle pedoliste. Fino al definitivo sì del Parlamento. Un sì che, tuttavia, ha scatenato un’altra ondata di proteste. Davanti alla Porta di Brandeburgo, un gruppo di circa 300 manifestanti ha urlato a gran voce contro quella che appare loro come una legge buona solo per la censura. Un nuovo “muro di Berlino” digitale invocato dopo il presunto inserimento nelle liste di alcuni servizi di hosting come Rapidshare.
I manifestanti sostengono si tratti di un accordo, in pratica, tra il governo e l’industria del copyright per mettere a tacere la condivisione online di contenuti senza autorizzazione. E non solo. Subito dopo l’approvazione della legge, un membro del partito conservatore e cristiano CDU ha annunciato un’idea un po’ diversa da quella originaria: allargare la lista nera dei siti a giochi sanguinosi e violenti come Counterstrike.
Gli utenti hanno reagito. Una petizione online per bloccare le pedoliste è giunta a 134.000 firme. La domanda che serpeggia sul web è: a cosa serve davvero questa legge? (M.V.)